In comunione con tutte le chiese dItalia, su invito dei vescovi, anche noi siamo chiamati in questa domenica 18 settembre, a ricordarci con la preghiera e la carità delle popolazioni del Corno dAfrica, questo perché la carestia nel Corno dAfrica rischia di diventare una catastrofe umanitaria dimenticata. La guerra in Libia, le rivolte a Damasco, la crisi economia e finanziaria in Europa e negli Stati Uniti hanno distratto lattenzione della comunità internazionale e del nostro Paese da un'emergenza che al momento coinvolge 12,4 milioni di persone. Per questa ragione, dopo gli appelli di Benedetto XVI, la Caritas ci invita ad un ulteriore gesto di solidarietà dal sapore dell'amore vero.
In questa regione, la scarsità e lirregolarità delle piogge dellautunno scorso - unite ad altri fattori quali la crescente desertificazione di alcune aree, i limitati investimenti nelle politiche agricole - hanno portato ad una allarmante scarsità di scorte alimentari, a una riduzione dei pascoli per gli animali, a una drammatica mancanza di acqua potabile. Alla denutrizione della popolazione si sono aggiunti il peggioramento delle condizioni igienico sanitarie e il rischio del diffondersi di epidemie tra le fasce più deboli e nelle aree più colpite. In particolare torna ad affacciarsi lincubo del colera.
Anche questo è un modo di onorare la Madonna che rimane anche nel nostro tempo Addolorata per la passione di tanti suoi figli.
don Maurizio
S.E. mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Gibuti e Mogadiscio
Non vorrei che la corsa per far fronte allemergenza umanitaria, necessaria per salvare milioni di persone, nasconda però il problema di fondo, che è la mancanza della struttura statale. Lo afferma allagenzia Fides mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, capitale della Somalia mentre a Roma si concludeva la riunione di emergenza della Fao sulla gravissima crisi alimentare che ha investito il Corno dAfrica. Il Paese più a rischio è la Somalia, da anni in preda alla guerra civile. Il problema della Somalia è la mancanza dello Stato - prosegue mons. Bertin -. Se non si prende atto di questa situazione si continuano a tappare i buchi, senza risolvere il problema. Lazione umanitaria, che deve essere fatta con urgenza, deve essere accompagnata anche da un discorso politico con i responsabili somali. Ne ho incontrati alcuni a Nairobi tre settimane fa - afferma Mons. Bertin -. Ho detto loro che quanto sta accadendo deriva anche dal fatto che non sono riusciti ad esprimere una vera leadership in grado di ricostruire le strutture statali. Si è invece privilegiato linteresse personale e quello della famiglia o del clan. Secondo gli Shabab (gli appartenenti al movimento islamista che si oppongono al governo di Mogadiscio) lemergenza umanitaria è enfatizzata dallOnu per creare un pretesto per interferire nella situazione interna della Somalia. Secondo mons. Bertin tra gli Shabab vi sono diverse anime. Quella che aveva fatto una dichiarazione a favore del ritorno delle Ong, è più vicina ai clan e si rende conto che la popolazione muore di fame. Vi e poi unaltra componente, più radicale, legata ad un certo contesto internazionale, a cui probabilmente non importa questa tragedia. Insomma, gli Shabab non sono così uniti anche se danno limpressione di essere un movimento unitario conclude lamministratore apostolico di Mogadiscio. (R.P.)
Mons. Bertin: chi vuole restare?
La presenza della Chiesa in Somalia e Gibuti è stata quasi del tutto distrutta
La presenza della Chiesa in Somalia e a Gibuti è stata quasi del tutto distrutta in questi due decenni e sopravvive con qualche opera umanitaria.
Ad affermarlo in unintervista allagenzia Cisa è mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Gibuti e Mogadiscio. Nellintervista, rilasciata a margine della 17.ma assemblea plenaria dellAmecea, lAssociazione delle Conferenze episcopali dellAfrica Orientale, in corso a Nairobi in coincidenza con il 50° anniversario della sua fondazione, il vescovo cappuccino italiano evidenzia che la guerra e linsicurezza hanno reso ormai impossibile lopera di evangelizzazione nei due Paesi del Corno dAfrica e che, a causa del diffondersi del fondamentalismo islamico alimentato prima dal regime iraniano e adesso da Al Qaeda, i rapporti tra cristiani e la maggioranza musulmana non solo facili. Questo, peraltro, non ha impedito linstaurarsi di rapporti abbastanza fraterni e di conquistare anche la stima di alcuni musulmani, ma, spiega il presule, il problema si pone con chi non ci conosce, che è la maggioranza. Un altro problema, è rappresentato dalla mancanza di sacerdoti che oggi sono appena tre a Gibuti.
In tutta la Somalia si conta una sola parrocchia e fuori dalla città di Gibuti ci sono quattro stazioni missionarie con qualche religiosa. Nella maggior parte dei casi i sacerdoti, tutti stranieri, restano per poco tempo: I sacerdoti che vengono da noi - spiega mons. Bertin - non sono abituati a vivere in un contesto musulmano in cui lattività pastorale tra i cristiani è pressoché nulla. Il risultato è che cè un continuo via vai. Durante i lavori il presule ha quindi lanciato un appello alle diocesi dellAfrica orientale a mettere a disposizione i loro sacerdoti.