DON GILDO BERNO: UNA VITA SPESA A SERVIZIO DELLA CHIESA
Mons. Ermenegildo Berno ha concluso la sua strada. Un uomo, un sacerdote, una quercia caduta a 94 anni alla vigilia dei settanta anni di sacerdozio dopo una brevissima malattia. Ha avuto la grazia di una buona salute per tutta la sua esistenza che ha speso interamente e sino agli ultimi giorni per il suo ideale, essere sacerdote di Cristo. Era stato ordinato sacerdote nella festa di Cristo Re dall'arcivescovo Carlo Margotti appena arrivato in diocesi nel 1936 e insieme ad altri confratelli ha testimoniato la scelta di e
ssere presbitero dell'unico Re che ha adorato.
La sua vita e la sua attività pastorale lo ha portato a Gradisca come cappellano prima e parroco poi a Bruma, servizio che ha formalmente ricoperto fino al 1983. Ma anche dopo, in questi ultimi anni, è stato attivo e presente, sempre al servizio di quanti richiedevano la sua collaborazione e la sua presenza. Il titolo di monsignore quale canonico onorario del Capitolo metropolitano, lo aveva onorato onorando la sua esistenza sacerdotale.
Don Gildo, con la sua statura caratteristica, appunto quella di appartenere al Veneto ed alla quale era stato fedele pur avendo imparato anche il friulano per essere più vicino alla sua gente, e personalità molto spiccata, è stato un uomo tutto d'un pezzo.
Forte e deciso, senza lasciare spazio alle mezze misure, solo nell'ultima parte della sua vita ha addolcito alcuni tratti raggiungendo un equilibrio ed una testimonianza che ha impreziosito la sua esistenza. Dedito alla missione in ogni momento e fino alla fine, rispondeva ai requisiti della formazione ricevuta che mettevano al primo posto l'attenzione alle persone, ai poveri in primo luogo ed una grande dedizione per il Regno di Dio e per la Chiesa. L’impianto dottrinale che lo sosteneva e che metteva in mostra in ogni momento ma soprattutto nella predicazione dove sintetizzava bene le sue convinzioni e la sua fede sempre forte e coraggiosa mai scossa dalle difficoltà o dai contrattempi ma sempre fiduciosa nel Signore maestro e amico della sua vita. La sua carta d’identità di presbitero emergeva in ogni situazioni e amava confrontarsi senza sconti e con grande interesse per il futuro della Chiesa; le mezze misure non gli erano proprie e neanche le ipocrisie.
Lascia alla gente di Gradisca e alle comunità che ha servito un grande esempio di dedizione e simpatia; al presbiterio la testimonianza di un servizio vivo senza ipotesi di pensione.
Per tutti la sua memoria resta in benedizione.
R.B.
Abbiamo scelto di ricordarlo riproponendo ai nostri lettori la parte centrale dell'omelia da lui pronunciata il 31 luglio 2001 nella chiesa del Sacro Cuore in occasione della cerimonia di commemorazione nel cinquantesimo della morte dell’Arcivescovo mons. Margotti.
Si tratta di una testimonianza particolarmente significativa in quanto don Gildo ricorda proprio la sua entrata in seminario ed i primi passi del suo ministero sacerdotale.
Con filiale devozione ed obbedienza,che tutti noi sacerdoti dobbiamo al nostro arcivescovo ‑ padre e pastore ‑ con tutto riguardo e contempo gratitudine, ho accolto la sua preghiera di presiedere a suo nome la celebrazione della Santa messa di suffragio di monsignor Carlo Margotti suo predecessore ‑ nel cinquantesimo della sua morte. Cinquantesimo che per me sono le sue Nozze d'oro dell'arrivo ed entrata in paradiso. Messa che potremmo cantare col Gloria in excelsis! La sua morte fu olocausto; il consumatum est di Gesù in croce che più di così non poteva amarci e fare.
Il cardinale di Bologna Nasali Rocca, alla elevazione episcopale di monsignor Margotti disse. "L’umile figlio di Romagna, scrive il suo nome fra i più belli dell'episcopato". Nec verbum a commento!
Sciolgo l'incarico datomi, dando titolo alle mie parole: “Il mio mons. Margotti. Il mio venerato Arcivescovo, visto, intimo". ( .. ) Chi entra in casa, dove abito da 62 anni, ancora sulla soglia posa i suoi occhi su un'amabile foto di mons. Margotti, sotto cui sta scritto: "il mio più grande benefattore".
Perché? Perché come lui chierico mi sono trovato sulla strada, polvere e fango.
Margotti chierico, giunto in treno a Monfalcone, senza bastone e bisaccia, non a caso, bussò alla porta della casa canonica, che gli fu aperta senza poter dargli alloggio ed ospitalità. Per sua fortuna arrivò fino a Trieste e all'indomani mattina tornò indietro. Le sue preghiere sono state esaudite e le sue lagrime asciugate.
La strada, fango e polvere, gli divenne capolinea, di vie, viali e piazze a non finire.
Io invece, giunto a Gorizia in treno, bussai alla porta di mons. Margotti, novello arcivescovo di Gorizia, e come si aprì gli presentai il biglietto da visita del mio parroco.
Lettolo, tenendolo ancora in mano, chiamò don Gregorio e gli disse: accompagni il chierico Berno in seminario e dica al vicerettore don Velci che è regolarmente iscritto al primo corso teologico.
Non sono tornato indietro, subito accolto ed ospitato.
Quando vado in arcivescovado e vedo quella porta mi faccio il segno della croce e benedico. Le vie del Signore sono imperscrutabili, quelle degli uomini scrutabili e quando le scrutiamo, come il Santo Vangelo, le troviamo piene di misteri e di miracoli.
Il 25 ottobre 1936, solennità di Cristo Re, che col prolungato suono delle campane della vigilia e del giorno facevano intendere a tutti che cos'è la regalità di Cristo, mi consacrò sacerdote. Sento ancora sulla testa la pressione delle sue mani benedette ed i brividi che mi corsero da capo a piedi ed il dolce calore dei due baci che mi ha dato sulle guance a fine celebrazione.
Il mio più grande benefattore mi accolse chierico dalla strada e all'altare della sua cattedrale mi consacrò sacerdote e mi fece suo figlio, alter Christus in eterno!
Nel 1938 mi nominò cappellano del Sacro Cuore. Eccovi il primo cappellano ancora vivente.
Quando egli arrivò questa grande, luminosa, accogliente chiesa da lui sospirata e voluta aveva solo le fondamenta, alte un metro, abbandonate da anni, coperte da erbacce, sito di cani e gatti.
Con sacrifici da non saper dire, preghiere ed amore, portò a termine la chiesa, la benedisse e la consacrò. Monumento visivo della sua devozione al Sacro Cuore di Gesù!
Chiesa del Sacro Cuore che senza alcuna sua lontana revisione, divenne suo ultimo camposanto in attesa della resurrezione di tutti i morti. La chiesa contiene la sua arca sepolcrale, canto del cigno dell’artista G.B. Novelli che diede animo, vita alle pietre ed al marmo di Carrara e che io parroco ho visto nascere, crescere ed essere quello che ora è il vero ritratto di mons. Margotti, nelle sue fattezze e fisionomia, dormiente nella pace di Cristo e dei santi.
Con decreto "incipiente a die 4 díc. 1939" sono stato nominato parroco di Santo Spirito – Bruma di Gradisca dove tutt'ora vivo.
Se a tanto amore e predilezione non avessi – per fragilità umana – come di dovere corrisposto, eccomi al mio pubblico, mea culpa, mea culpa, assicurandovi nel contempo che ogni mattina, indosandi i sacri paramenti per la santa messa, gli dico “Preghi per me”.
Come sapeva pregare bene mons. Margotti e insegnava con l'esempio! Nelle visite pastorali, entrato in chiesa, la sua prima mossa, era quella di mettersi in ginocchio per l'apparecchio alla Santa messa e così alla fine della celebrazione.
Atteggiamenti, mosse che non si vedono più! Che erano e sarebbero visibili insegnamenti di cosa è l'Eucarestia e della comunione appena fatta.
Appena le truppe di Tito, violando gli accordi di Jalta, arrivarono a Gorizia mons. Margotti fu catturato.
Don Stefano Gimona che casualmente vide questo gli corse dietro, protestando anche con qualche parola in sloveno e chiamando aiuto meritandosi così di essere portato via con lui. Non per reticenza, tralascio i particolari di come furono trattati.
Fatte indietreggiare oltre l'Isonzo le truppe titine fu liberato per grazia di Dio e nostra.Senza gloriarmi, ma per il bene – sempre crescente ‑ che ci siamo voluti perché la storia sia vera e conosciuta, voglio ricordare di quando andai a trovarlo a Udine, ospite di mons. Nogara nell'episcopio di Udine dove era rinchiuso.
Gli baciai l'anello e chiedendogli la santa benedizione lo pregai di venire a presiede la processione dell'Assunta.
Venne il pomeriggio del 15 agosto 1945 rimettendo così in tale occasione piede sul territorio della sua diocesi. Vi aggiungo ancora che la sua ultima messa, il suo ultimo solenne pontificale, lo celebrò proprio a Bruma Santo Spirito il primo novembre 1950 festa di tutti i santi, proclamazione del dogma dell’Assunta in cielo, inaugurando la grande pala.
Durante la sua lunga e dolorosa malattia non ho avuto il coraggio di andarlo a trovare perché avrei pianto e chi soffre ha bisogno di ben altro. Ho avuto però il coraggio di mettere le mie spalle sotto la sua bara.
don Gildo Berno