Nella cornice spirituale della chiesa dell’Addolorata ha rivissuto nei cuori la figura di don Giovanni Battista Coassini, il giovane sacerdote e benefattore della cittadina isontina scomparso nel 1913 a poche settimane dall’ordinazione, ad appena 25 anni. L’Unità Pastorale di Gradisca ha dedicato al sacerdote una serie di iniziative in avvicinamento all’inaugurazione dell’oratorio che ne porta il nome.
L’oratorio e la chiesa stessa dell’Addolorata sono i due, impagabili doni della famiglia Coassini alla città dopo la prematura scomparsa di don Giovanni Battista. Due spazi, l’uno educat
ivo e l’altro spirituale, che da sempre sono due riferimenti per tutta la comunità, cristiana e non. E oggi è proprio la comunità a sdebitarsi.
Lunedì 15 settembre ha avuto luogo in una gremitissima chiesa dell’Addolorata la presentazione dell’atteso libro “Giovanni Battista Coassini, sacerdote del Collegio Germano-Ungarico” curata dallo studioso Ferruccio Tassin, che ha inquadrato dal punto di vista storico la figura del giovane religioso.
Il volume è la riedizione della biografia in cui a inizio del secolo scorso padre Ferdinando Ehrenborg raccolse gli appunti di don Giovanni Battista, la cui vita spezzata ma sublimatasi in Cristo nell’insegnamento e nella cura dei poveri (soprattutto giovanissimi delle borgate di Roma ove don Coassini operava) divenne un esempio conosciuto in tutti i seminari italiani. Con la competenza scientifica che gli è propria, oltre alla passione per la storia dell’Arcidiocesi di Gorizia, il professor Tassin ha saputo inserire il personaggio nel contesto storico ed ecclesiale del primo Novecento. “La sua vita, senza ombra di retorica, si può definire una scintilla di Dio” ha esordito Tassin, che ha magistralmente guidato la riscoperta della personalità di don Coassini, figura che era colpevolmente stata lasciata scivolare nell’oblìo. Ne ha fatto emergere anzitutto la finezza della sua cultura e l’agile intelligenza: cultore di teologia, laureato in filosofia, studioso di lingue bibliche antiche. Ma anche e soprattutto la grandezza del suo cuore e della sua fede. Tanti sono stati i motivi storici che avevano messo in ombra la figura e il ricordo: tra questi il passaggio delle nostre terre dall’impero austro-ungarico all’Italia con conseguente sguardo di sospetto per tutto ciò che poteva sapere di austriaco. E poi la Grande Guerra, le necessità più immediate e concrete che la popolazione pativa. Dopo la morte, ha spiegato Tassin, ne scrisse “L’Eco del Litorale” di Gorizia; la Cronaca parrocchiale di Gradisca, al 1912, ha un’ampia nota di don Carlo Stacul. Tuttavia un chiaro segno che se n’è parlato anche dopo rimane nel 1926 (Alberton-Tomadin), quando, durante la visita pastorale del principe arcivescovo di Gorizia, mons. Francesco Borgia Sedej, si inaugurano asilo e ricreatorio del Coassini, e il parroco mons. Carlo Stacul illustra la figura di don Giovanni Battista. Nel 1949, il parroco don Francesco Spessot inserisce una pagina di un catalogo della editrice Declèe, con gli estremi del libro dell’Ehrenborg e un riassunto illustrativo e verga di suo pugno una nota sul libro dei battezzati dando notizia della biografia del 1913, segno che il colto sacerdote di Farra voleva si sapesse che Giovanni Coassini non era uno qualunque. Ancora nel 1956, alla visita dell’arcivescovo mons. Giacinto Ambrosi, all’atto della inaugurazione della sala teatro, il parroco don Luigi Cocco ricorda l’iniziatore del ricreatorio mons. Carlo Stacul e il munifico donatore don Giovanni Battista Coassini. È cronaca l’ultimo intervento di vent’anni fa da parte del comitato presieduto dal sindaco Romano Travan e poi, finalmente, un segno tangibile con la erezione della tomba dei Coassini nel cimitero comunale. “Dalla biografia dell’Ehrenborg, che è stata ristampata per questa occasione, si può trarre una espressione chiave per tutta la vita e il programma di preparazione al sacerdozio del Coassini: la straordinarietà dell’ordinario, la lode della quotidianità, ma non nel senso banale del significato, bensì nell’impegno ad andare dritti all’obiettivo, sfrondando l’accessorio” ha concluso Tassin. Quello di queste settimane è di fatto il primo grande riconoscimento che Gradisca fa a un suo grande sacerdote, vero vanto del clero Goriziano, morto in concetto di santità, una santità che traspare dai suoi scritti e dalla spiritualità di cui sono permeate le pagine del libro. Anche l’Arcivescovo, Monsignor Dino De Antoni, ha preso parte alla presentazione del volume, così come il primo cittadino di Gradisca Franco Tommasini . “Dobbiamo essere grati a don Maurizio Qualizza e alla parrocchia di Gradisca per aver voluto onorare la riapertura del “Coassini” con la presentazione della biografia del giovane sacerdote a cui è intitolato lo storico oratorio – così il presule ha espresso il suo plauso all’iniziativa-. Per me, e spero per molti, è stata la scoperta gioiosa di una figura sacerdotale che si aggiunge ad altre che abbiamo avuto modo di celebrare in questi ultimi anni. La vita brevissima di don Giovanni Battista Coassini ci insegna a rimanere aperti al Dio delle sorprese, che sconvolge i nostri piani ed è capace di chiederci cose che non avremmo mai immaginato. Al giovane sacerdote infatti il Signore ha chiesto che al sua vita fosse intensamente breve e donata. Non doveva diventare un secco e solitario vecchio bastone nella vita della sua Chiesa, ma un virgulto pieno di energia da consumarsi in un breve tragitto. In una vita così limitata nel tempo – riflette l’Arcivescovo - egli ha saputo lasciarsi profondamente trasformare da una armoniosa perfezione, liberandosi da ogni spirito di dominio e di possesso, da ogni senso di superiorità e alterigia, permettendo di far crescere nell’amore quanti lo hanno incontrato. Non so se don Giovanni Battista conoscesse le parole di Lacordaire di fronte all’ultimo traguardo: “vado dove mi porta Dio, incerto di me stesso, sicuro di Lui”. E’ certo però – conclude Monsignor De Antoni - che la sua morte fu l’ingresso nella libertà, il momento in cui diventato vivo al massimo. Grazie dunque ancora una volta a chi lo ha riproposto alla nostra attenzione: ripresentarne la figura in un tempo di scarsità di vocazioni al sacerdozio, è sembrato un servizio alla diocesi e a tutta la Chiesa”.
Luigi Murciano