Anche il Veneto avrà il suo Cie. Ed è già polemica rovente fra il governatore Zaia e il vescovo di Rovigo, che cita l’esperienza di Gradisca d’Isonzo definendo il centro “un lager”. Come sono cambiati i tempi dal 2005, quando – con una mossa disperata – l’allora governatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy tentò di convincere il collega del Veneto Giancarlo Galan ad accettare sul proprio territorio la struttura per immigrati prevista (e poi realizzata) a Gradisca. Sfruttando magari il piglio autoritario di sindaci alla Gentilini. Non se ne fece nulla. Ora, cinque anni dopo, anche il Veneto scopre i Cie. E la Chiesa si dimostra da subito contraria. La struttura, ormai è molto probabile, dovrebbe sorgere a Zelo, nel Polesine dopo che inizialmente era stata prospettata una collocazione nel Trevigiano. Il progetto ha scatenato la decisa reazione del vescovo di Rovigo, monsignor Lucio Soravito de Franceschi. Il presule parla a ragion veduta: ha visitato il centro di Gradisca e non ha dubbi: «I Cie sono dei lager, la loro esistenza è inaccettabile, soprattutto per un popolo di emigranti come il nostro. Dobbiamo aiutare gli stranieri a inserirsi, integrandoli, non rinchiudendoli”. Immediata la reazione del successore di Galan, Luca Zaia: «In linea di principio posso capire le preoccupazioni della Chiesa, però c’è una legge italiana che prevede queste strutture e va applicata. Riguarda persone per diversi motivi raggiunte da decreto di espulsione, che nulla hanno a che fare con le politiche di integrazione, per le quali il Veneto è al primo posto a livello internazionale. Il 5% del pil regionale è frutto del lavoro degli immigrati per bene, da non confondere con quelli che pensano di poter venire qui senza documenti e vivere di espedienti. Quando si parla di accoglienza e solidarietà bisogna stare attenti a non confondere chi realmente approda in Italia perchè in fuga da guerra e fame con chi invece non scappa affatto da morte sicura. Mi riferisco soprattutto ad albanesi, marocchini e tunisini: stando ai dati diffusi dalle forze dell’ordine, sono le etnìe che delinquono di più e che riempiono i Cie. Non dimentichiamo poi— prosegue Zaia—che il 70% della popolazione carceraria è costituita da extracomunitari. Sono gli stessi migranti onesti a chiederci rigore e sicurezza. Come vanno puniti gli italiani che non rispettano la legge, allo stesso modo si devono identificare, attraverso i Cie, e rimandare a casa loro gli stranieri che la violano. Devono capire che per stare in Italia bisogna avere le carte in regola, come nei loro Paesi, noi non siamo certo i più tonti”.
Luigi Murciano
Una parola chiara del Vescovo di Adria-Rovigo sul Cie di Gradisca d’Isonzo
Il progetto spinge sulle barricate il vescovo di Rovigo, monsignor Lucio Soravito de Franceschi che, già favorevole agli ambulatori per clandestini, dal pulpito ha ammonito: «I Cie sono dei lager, la loro esistenza è inaccettabile, soprattutto per un popolo di emigranti come il nostro. Dobbiamo aiutare gli stranieri a inserirsi, integrandoli, non rinchiudendoli». Parole «documentate» da una visita del presule veneto al Cie di Gradisca…….
Quando si parla di accoglienza e solidarietà bisogna stare attenti a non confondere chi realmente approda in Italia perchè in fuga da guerra e fame con chi invece non scappa affatto da morte sicura. Mi riferisco soprattutto ad albanesi, marocchini e tunisini: stando ai dati diffusi dalle forze dell’ordine, sono le etnìe che delinquono di più e che riempiono i Cie. Non dimentichiamo poi— prosegue Zaia—che il 70% della popolazione carceraria è costituita da extracomunitari. Sono gli stessi migranti onesti a chiederci rigore e sicurezza. Come vanno puniti gli italiani che non rispettano la legge, allo stesso modo si devono identificare, attraverso i Cie, e rimandare a casa loro gli stranieri che la violano. Devono capire che per stare in Italia bisogna avere le carte in regola, come nei loro Paesi, noi non siamo certo i più tonti».
«Il problema — dichiara il vescovo di Adria-Rovigo é se tali strutture rappresentano la strada giusta per risolvere la questione immigrazione. Personalmente, sono convinto che questa non sia la soluzione. Conosco la realtà di questi centri di raccolta. Andate a vedere quanto sta accadendo a Gradisca di Isonzo. In quel paese il Cie è diventato un vero e proprio carcere con tutti i problemi di salvaguardia della dignità umana e di sicurezza per gli ospiti e il personale in servizio».
Una situazione, quella friulana, raccontata proprio alcuni giorni fa sulle pagine del Resto del Carlino dal sindaco del paese in provincia di Gorizia, Franco Tommasini. Rivolte, fughe d’immigrati e la paura della popolazione locale che solo dopo qualche tempo e diverse mediazioni è riuscita a metabolizzare la presenza del centro sul proprio territorio.
Ma per Soravito, davanti a costruzioni come il Cie, non ci sono compromessi percorribili. Anzi, il vescovo esorta i polesani (i cittadini del Polesine, sua Diocesi ndr.) a guardarsi indietro e ripensare alla propria storia d’emigranti. Dal pastore arrivano interrogativi che scuotono le coscienze. «E’ questo il trattamento che noi polesani vogliamo riservare agli immigrati? Proprio noi che abbiamo dovuto andare emigranti in Italia e all’estero, a centinaia di migliaia, prima e dopo l’alluvione del 1951? E’ questa l’accoglienza che abbiamo ricevuto?».
Poi chiarisce: «Non voglio entrare nel dibattito politico sull’opportunità di realizzare il centro d’identificazione in Polesine. E’ una questione politica che non mi compete. Dissento, però, in maniera decisa dalla scelta di costruire un centro di identificazione ed espulsione in qualsiasi luogo». Insomma, non è un problema di natura territoriale. In ballo c’è il tema cristiano - e non solo - dell’accoglienza nei confronti del prossimo.
Secondo Soravito con i Cie «non si aiutano i fratelli immigrati ad inserirsi nel nostro tessuto sociale. La questione non si risolve, ma la si acuisce.
Se non c’è lavoro, va detto ai migranti al fine di evitare false illusioni. Allo stesso tempo, se qualcuno di loro delinque, è giusto che sia rimandato nel suo Paese. Ma, premesso tutto ciò, non si possono chiudere delle persone dentro centri di raccolta che in realtà sono delle carceri, semplicemente, perché non in regola con il permesso di soggiorno».