Gradisca, sala Bergamas, sabato 5 aprile ore 20.30: le persone che cominciano alla spicciolata a riempire la sala sono attratte subito dal grande schermo sul palco, che porta impressa la scritta “La Migrantes canta la speranza”, una frase che, nella sua sintetica semplicità, già profuma di utopia, ma che incuriosisce e si presta ad infinite sfaccettature interpretative.
Don Maurizio Qualizza, parroco di Gradisca, presenta don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa per sei anni, nel tempo cruciale degli sbarchi, anche quelli più drammatici, che hanno visto naufragare i sogni di circa 300 persone, nelle onde dello stupendo mare lampedusano. In quell’occasione, don Maurizio, aveva sentito il bisogno di manifestare la solidarietà sua personale e della Parrocchia, al popolo lampedusano attraverso il loro parroco. E da questo primo approccio è nata un’amicizia e una reciproca stima fra i due confratelli, che ha avuto anche momenti di partecipazione concreta e diretta nel territorio isolano. Questa sera don Stefano è venuto a parlare ai gradiscani di quello che ha visto e vissuto, cioè a testimoniare le difficoltà, i problemi, il dolore e la rabbia di un popolo che è riuscito, in mezzo a questa ridda di sentimenti, a far parlare il cuore e a compiere gesti di accoglienza impensati. Mentre sullo schermo scorrono immagini fin troppo conosciute, intercalate da altre, inedite, don Stefano illustra, da testimone oculare ed emotivamente coinvolto, la situazione di un’isola, bellissima, un paradiso, che vive soprattutto di turismo, che si è trovata, suo malgrado, a gestire una situazione imprevista, imprevedibile e drammaticamente coinvolgente. Lampedusa è un lembo di terra, 6.500 anime, isolata dal continente, con il quale vive problematiche, anche serie, di viabilità e di rapporti di vario genere, resi difficili dalla difficoltà reale della distanza e dei bisogni degli isolani. Una realtà non facile, ma che non ha avuto il potere di atrofizzare il cuore degli isolani, un cuore di famiglia, ha sottolineato don Stefano, un cuore che ha saputo aprirsi alla compassione, all’accoglienza, alla considerazione della dignità dell’altro, anche quando la rabbia, la solitudine, la delusione, le incomprensioni, avrebbero voluto avere la meglio sull’umanità. Il cuore parla in tutte le lingue, - ha proseguito don Stefano- e questa prerogativa del cuore ha permesso ai lampedusani di dialogare con questi disperati i cui sguardi chiedevano solo aiuto e comprensione. L’arrivo di questi cercatori di nuova vita e di speranza (quasi tutti giovani dai 15 ai 30 anni) ci ha fatto capire tanto, ci ha dato tanto, e la Chiesa ha cercato di tamponare le falle dell’assistenza dell’organizzativo statale perché, ha spiegato don Stefano, per i cristiani accogliere è necessario, è un valore aggiunto non negoziabile, ma lo è anche per tutti gli uomini di buona volontà e di cuore. E ben presto, nell’isola, la solidarietà ha coinvolto tutti: dalle associazioni laiche, agli interventi di privati cittadini che hanno messo a disposizione la loro casa e condiviso con i profughi quello che avevano. Perfino quelli che temevano rimbalzi negativi per il turismo e il buon nome dell’isola, hanno finito col mettere a disposizione di tutti, quello che avevano e quello che potevano. E’ nata una gara di solidarietà che ha coinvolto ciascuno e tutti al di là delle difficoltà, degli scontri, degli interessi personali. Il Vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, nella Pasqua del 2011 ha celebrato, nella veglia, la Risurrezione di Cristo con i lampedusani, per cantare con loro l’Alleluia, malgrado una “Passione” non finita, ma in fieri. Le immagini scorrono sullo schermo: barconi stracolmi, volti impietriti, volontari che non conoscono limiti alla fatica, onde gigantesche che rendono ancora più duro il recupero di donne, uomini, perfino bambini….Il silenzio nella sala è assoluto e le parole, sempre semplici e pacate, le riflessioni sostenute dalla PAROLA, lampada ed orientamento alle scelte del cristiano e dell’uomo in generale, di don Stefano, scalfiscono la mente e toccano l’intimo. Si ha come l’impressione di veder materializzarsi, con sorpresa ma anche con commozione, una parola troppo spesso evocata, ma che altrettanto spesso, resta un sogno o un pio desiderio: Comunità! Il dolore, l’impotenza, la rabbia, la paura, i fallimenti, le tensioni interne e con gli stessi immigrati, hanno trovato sbocco in una unità di intenti che ha permesso di realizzare l’impossibile, di cantare, appunto, la speranza, di rendere visibile al mondo che i due pani e i cinque pesci che sfamano una folla immensa, non sono un bel miracolo di Gesù relegato fra i tanti, ma sono la via indicata dal Maestro per ogni uomo: “Date voi, loro, da mangiare”! Prosegue don Stefano: se il peso è condiviso, se ciascuno dà quello che può, quello che è, quello che sa, i miracoli sono ancora oggi, di una attualità sorprendente. Nessuna critica pesante contro istituzioni, governo, uomini politici; semmai l’amarezza dei lampedusani per essere stati lasciati troppo, e troppo a lungo, soli. E’ pur vero che alcuni volontari, come il medico dott. Pascoletti e il signor Piserà, coordinati da Bruno Stepancich capogruppo del CISOM FVG, sono approdati a Lampedusa rinunciando anche alle proprie ferie per unirsi al CISOM nazionale, presente da diversi anni sull’isola, per assicurare alcuni turni di servizio di assistenza ai migranti, in accordo con le autorità competenti e per portare un contributo umano che fa onore al Friuli. Ed è altrettanto vero che molti altri volontari hanno offerto il loro tempo, la loro fatica, le loro competenze, per stare vicini alla popolazione, sbigottita e impotente, davanti ad una emergenza inattesa e drammatica. Ma questa marea umana che continua ad arrivare necessiterebbe dell’attenzione anche di quelli che contano e possono, non saltuariamente, ma con la stessa frequenza con cui si registrano gli sbarchi. Fra gli interventi, quello del Sindaco di Gradisca, Franco Tomasini, che ha evidenziato come Gradisca, piccola realtà del Friuli, abbia dovuto subire la presenza di un CIE e di un CAR, nel proprio territorio, con poca attenzione da parte dello Stato ai problemi locali e dando altrettanta poca visibilità ai vari progetti alternativi. “Non dimentichiamo tuttavia, ha tenuto a precisare il Sindaco, che accogliere fa parte della storia del Friuli”.
Anche don Paolo Zuttion, direttore della Caritas diocesana, ha voluto ringraziare l’esempio e la testimonianza preziosa dei lampedusani che è di sprone ad andare avanti e a non scoraggiarsi mai.
Una signora ha distinto il momento della prima accoglienza, dovuta e necessaria, dal momento successivo dell’integrazione, molto più difficile e richiedente efficaci interventi e strategie diversificate.
Don Stefano ha ascoltato con attenzione i vari interventi ed ha ammesso che la difficoltà di accogliere e poi di integrare, sono davvero tante, ma ha anche evidenziato che il Vangelo offre una strategia che, se attuata, potrebbe far accadere anche l’impensabile, che è la strategia di portare i pesi l’uno dell’altro e di riconoscere in ogni uomo la dignità che gli appartiene recuperando quell’umanità della quale ci siamo svestiti e riscoprendo il valore della condivisione che moltiplica quello che si ha e quello che si dà, con un ritorno di gioia e di pace impagabili. Grazie don Stefano! Ci portiamo nel cuore le tue parole, anzi la Parola, a cui hai fatto continuo riferimento, come un tesoro prezioso da meditare in questo ormai breve tempo d’attesa della Pasqua e ti siamo grati perché ora abbiamo un motivo in più per credere che è possibile “CANTARE LA SPERANZA!”
Alfreda Molli