Oggi la liturgia ci offre la bellissima e drammatica pagina che illustra la prova di fede e di amore che Dio chiese ad Abramo:«Prendi tuo figlio, è il comando del Signore, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò.» Nella capacità di sacrificare anche il suo futuro, Abramo esplicita la sua grande fede, da farlo “il Padre della fede” per tutte e tre le religioni monoteiste. Incontriamo un Abramo che a motivo della fede-chiamata, si “mette in viaggio."; una profezia dell’itineranza di Gesù sulle strade della Palestina al termine della quale testimonierà una fede altrettanto grande, la disponibilità a “donare tutto”, come ricorda l’Apostolo Paolo quando dice:" si fece obbediente sino alla morte, e alla morte di croce.."(Fil.2,7).
Cristo prima di salire sul suo “monte Mòria”, il Calvario, ancora un po’ lontano, sale con i suoi sul Tabor: il monte della trasfigurazione, un preludio della resurrezione.
L’esperienza cristiana non è un salvacondotto per essere sollevati dal mistero della sofferenza, ma questa, come la morte, non è l’ultima parola, c’è una pienezza di vita, c’è una presenza di eternità già qui adesso, alla quale siamo chiamati e della quale possiamo fare esperienza, fidandoci del Padre.
Ecco, la gloria del Tabor, se vogliamo per noi l’Eucaristia, è una sosta rigeneratrice, è un entrare nel “mistero”, ma è un momento al quale attingere luce e pace per scendere dal monte e testimoniare con forza il Vangelo. Poi la vita continua, tutto sembra sparire,come annota l’evangelista:"Improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù, solo, con loro." ... Rimaniamo noi e Gesù.
don Maurizio