Con ampi brani della preziosa ricerca e relazione, fatta dal prof. Ferruccio Tassin in occasione dell’inaugurazione dell’Oratorio e della ristampa della Biografia di don Giovanni Battista Coassini, desideriamo portare nuovamente alla memoria questo santo sacerdote gradiscano che lasciò un segno luminoso e venne additato come modello di studente e di giovane sacerdote di Cristo a Seminari e Collegi di diversi stati europei. Consci che la conoscenza della sua esistenza potrebbe portar giovamento ad altri giovani del nostro tempo alla ricerca di una vita pienamente realizzata a servizio di Dio e della Chiesa.
L’opera di Ferdinand Ehrenborg, la Biografia di don Coassini, pubblicata nel 1913 a Roma per Desclee e Compagni – Editori Pontifici, “Giovanni Battista Coassini sacerdote del Collegio Germanico – Ungarico” ebbe un seguito in altre edizioni. Nel 1914 viene edito a Friburgo, in Germania, un libro in tedesco, dal titolo ancora piu significativo: “ZumPriesterideal Charakterbild des jungen Piesters Johannes Coassini aus del deutsch-ungariscen Kolleg in Rom”. Altra prestigiosa casa editrice, la Herder, con sedi in tutto il mondo; per questi torchi, si sa di cinque edizioni e di novemila esemplari. Qui il messaggio del titolo non si limita a promettere una biografia, ma tende a indicare un contributo, quasi un modello, per l’ideale di sacerdote. Dopo la guerra non cessa l’interesse per questa figura, e nel 1930 abbiamo una edizione in inglese dell’opera, sempre per i tipi della Herder: “The Ideal of the Priesthood: as illustrated by the Life of John Coassini, of the German- Hungarian College in Rome”. Indubbiamente fu un giovane sacerdote che lasciò il segno, sia per la sua vita che per la sua morte, che fu davvero “santa”.
Una vita che fu come ebbe a dire il prof. Ferruccio Tassin nella presentazione della ristampa fatta dalla parrocchia di Gradisca in occasione dell’inaugurazione dell’Oratorio, “la straordinarietà dell’ordinario, la lode della quotidianita, ma non nel senso banale del significato, bensì nell’impegno ad andare dritti all’obiettivo, sfrondando l’accessorio. Ma questo concetto lo esprime lo stesso don Coassini: “Volo curam praecipuam impendere in communibus, cavere a particularibus”. Ma solo che il livello della asserita ordinarieta, qui, era di livello altissimo.
Il biografo, come asserisce il Tassin, possiede interamente la materia che tratta: é vicino agli avvenimenti; a sua portata di mano sono i diari, incredibilmente particolareggiati del Coassini e la massa ingente dei suoi scritti, come appunti, riassunti, tesi trattate; conosce minutamente la vita del collegio; ha contatto con tutti gli allievi del Germanicum, con i professori, con i compagni di studi e gli allievi del Coassini nella scuola di catechismo. Infine, conosce la spiritualita ignaziana che permea don Giovanni Battista e gli autori oggetto delle dei suoi studi e financo delle sue letture.
Le pagine della Biografia sono dense, per il loro carattere estremamente analitico, non facilmente piegabili ad ottenere una sintesi. O meglio, la sintesi estrema può essere raggiunta immediatamente, e in tre parole : “È un santo!”. Anzi e davvero strano che nessuno si fosse mosso, negli anni più vicini alla sua morte, a promuovere un processo di canonizzazione. Quando, alla fine del libro, l’Autore si chiede quale sia il complesso di doti e di virtù che ne ha fatto un personaggio, fa capire che erano in parte naturali, in parte acquisite in un serio programma di vita che metteva in discussione il “come?” in ogni particolare. In tale contesto ce lo presenta fisicamente: “…Non si può…negare, che Coassini fosse una figura attraente, anzi, in un certo senso, imponente. Di statura giusta, fronte nobile ed aperta, sguardo tranquillo e sereno, vestito semplice, ma pulitissimo: tutto ciò non poteva mancare di produrre una certa impressione; se poi s’aggiunga una cert’aria soprannaturale, che circondava l’intera persona, si può ben capire, come chi trattasse per la prima volta con lui si dovesse mettere in guardia, onde non essere preso da un non meno corretta simpatia, e come alla fine dovesse esclamare quasi senza volerlo: Questo e veramente un santo…”. Nasce a Gradisca d’Isonzo il 5 settembre 1887, terzogenito di Angela Basilisco, goriziana, e Nicolo Coassini. Viene battezzato, con licenza del parroco, dal pievano di Romans Francesco Saverio Petcosig - figura prestigiosa soprattutto nell’ambito della scuola - con i nomi di Giovanni, Pietro e Ugo. In quest’anno, viene in visita pastorale a Gradisca l’arcivescovo Luigi Zorn e appone la sua firma come controllo del registro dei battesimi, proprio sotto l’atto di quello che riguarda il Coassini. Che cosa significhi questa nascita, per il padre, ricco possidente e titolare di una farmacia, scrive il biografo, e sottolineato dal fatto che il primogenito era morto “…e non aveva che una bambina…”. Questa citazione, che oggi farebbe inorridire qualsiasi donna (forse anche allora…), spiega plasticamente l’importanza di Giovanni. La madre lo alleva cristianamente e gli istilla l’amore per Gesu e la Vergine Addolorata, tanto che dal frequente canto nella vicina chiesa, il fanciullo, impara precocemente lo Stabat Mater. A meno di 5 anni gli muore la madre. Il tono del libro e meno retorico delle abituali vite dei santi, ma si nota un andamento vicino, per cui tutte le pagine sono costellate di elementi edificanti, che pero fanno sempre intravedere la linea di vita, dianzi accennata, di Giovanni: perseguire con determinazione l’essenziale, sceverando dal complesso l’accessorio, cui accostarsi solo nel caso di effettiva certezza che non recasse nocumento alcuno alla linea guida.
Dopo la scuola primaria, frequentata, con entusiasmo e gioia, in città, a 10 anni va a Trieste per gli studi superiori, e abita da una parente. Vita di studio e di pietà, frequenza ai sacramenti e direzione spirituale non lo piegano a direzioni che escano dalla strada così che, chiosa il biografo, “E da stupirsi, come al Ginnasio Comunale di Trieste, Giovanni si sia potuto mantenere cosi buono, frequentando quelle scuole, che erano nelle mani di liberali ed ebrei…”, qui si nota un po’ anche l’odore del luogo comune. Risultato degli studi sempre al massimo grado, maturità compresa!
Nell’economia di un libro, pubblicato a Roma e destinato a collegi e seminari, chi avesse mandato a Roma il Coassini, e perché al Germanico, non ha più che tanta importanza, ma per noi si, e allora, Tassin ricorda di essersi rivolto al prof. Luigi Tavano, che glia ha ricordato come anche il futuro card. Missia, che poi fu arcivescovo di Gorizia, da Lubiana era stato indirizzato al Germanicum, e come ad un certo momento fosse diventata la destinazione alternativa al Frintaneum di Vienna, dove per esempio, erano stati ospiti Eugenio Valussi, poi principe vescovo di Trento e Luigi Faidutti. Pero qui, almeno, stando alla scarna annotazione nel registro alunni del Germanico che fa menzione di Giovanni Battista Coassini, Austrico, della diocesi di Gorizia, che chiese ed ottenne l’ammissione, come convittore, raccomandato da don Trevisan e dal neoarcivescovo di Gorizia mons. Sedej, pare che si tratti di una decisione autonoma. Diverse anche le modalità: a Vienna venivano mandati già sacerdoti.
Dal 1906, torna a Gradisca solo due volte, sempre nel 1908, prima per il matrimonio della sorella, poi per la morte del padre; le testimonianze gradiscane sono concordi, nella sua presenza unanime era l’accostamento a San Luigi.
Nel Germanico, primo collegio pontificio fondato dopo la riforma cattolica da Giulio III, nel 1557, per impulso di Sant’Ignazio di Loyola e unito nel 1580 all’Ungarico iniziato due anni prima, la veste talare era rossa. L’abito e il colore assumono immediatamente per Coassini una forte carica simbolica. Vuole diventare un sacerdote pio, istruito, di carattere, bene educato; confronto con i propositi ogni domenica dopo la comunione, elemento cardine della sua vita. Per questo, si esercita, con un apparato di controllo relativo a se stesso, fatto di domande, programmi e verifiche comprendenti ogni minimo particolare della vita spirituale, del carattere e del procedere della preparazione in vista del sacerdozio.
Altro punto fondamentale gli studi: l’essenziale da approfondire, gli studi liberi “si tempus superest”. Tutto esaminava e ne scriveva, del suo procedere nella vita e negli studi, lavorando “sub specie aeternitatis”, con un costante sguardo alla tomba.
Allo studio unisce la vita attiva come insegnante in una scuola che il collegio aveva iniziato con i parroci romani, per iniziativa di Celestino Endrici (1891) poi vescovo di Trento.
Giovare alle anime, nel rapporto con la gioventù povera, ma anche qui con misura, per non danneggiare la linea guida, il raggiungimento del sacerdozio per la salvezza delle anime.
La sua e una pedagogia pratica, in cui la memoria non e premessa, ma rinforzo alla spiegazione. Con la morte del padre, durissimo colpo per lui, da una lettera di conforto si sa che conosceva il seminarista Goriziano Giuseppe Srebernič, che poi divenne vescovo di Veglia. Diventa catechista e poi direttore della Scuola catechistica che era il contatto del collegio con la realta popolare delle borgate romane (e dava anche qualche raro scappellotto agli irrequieti alunni, anche se ciò non corrispondeva al suaviter in modo, fortiter in re del p. Claudio Acquaviva, IV generale dei Gesuiti). Qui pratica anche la carità concreta, sfiora la questione sociale.
Dal 1909 al 1912, gli studi teologici: anche qui costruisce un piano, in cui scrive, tra l’altro “Non mi proporrò di studiare anche il non necessario”, che non vuol dire mancanza di vasti interessi, ma priorità del fine. Si dedica però alle lingue orientali, per un anno, nel Pontificio Istituto Biblico e il primo giugno 1912 é ordinato diacono in San Giovanni in Laterano, chiesa dedicata al santo di cui porta il nome.
Nell’ambito dell’autogoverno dei chierici che vige nel Germanico, viene nominato prefetto dei teologi, una consuetudine per favorire la vita di comunità, e nella preparazione alla festa della ordinazione sacerdotale, affidata appunto al prefetto, provvede a tutto, compresa la scelta del patrocinio, il martire del collegio Roberto Johnson e sotto la foto del ritratto vi scrive il motto “Prope Romam semper”. Nella chiesa del collegio, il 28 ottobre 1912 il card. Respighi, insieme con lui ordina 93 allievi dei diversi collegi e delle diverse congregazioni religiose. Il 15 dicembre, Coassini avrebbe celebrato la sua ultima messa.
Per far capire come la malattia (fu più che altro una lunga agonia) e la morte siano state specchio della sua breve vita, il biografo dedica loro 25 pagine, il 10 % del totale: e una sottolineatura quantitativa oltre che qualitativa. Mori di peritonite, dopo una operazione d’urgenza. Tutto il racconto sembra un trattato di ars moriendi, apparato alla morte: lepreghiere la sua rassegnazione attiva, il testamento con la donazione di casa e beni in gran
parte ai poveri e a quello che sarebbe diventato negli anni Venti, il Coassini; un triduo di preghiere, con la espressa partecipazione spirituale del Papa Pio X.
Uno dei compagni gli chiese se gli costasse il sacrificio della vita; Coassini rispose con le parole della rassegnazione di Giobbe e il compagno replico: “Lei non deve morire adesso: noi e la sua diocesi abbiamo ancora bisogno di Lei”. Questa e anche una spia che aveva manifestato il desiderio di tornare in diocesi.
Spirò santamente e fu sepolto nel camposanto teutonico accanto alla basilica di San Pietro.
Certamente c’e più bisogno di Santi in paradiso che sugli altari, ha scritto ancora il Tassin, ma una sua auspicabile beatificazione sarebbe una benedizione per la arcidiocesi di Gorizia. Il 16 gennaio del 1913, il Papa, all’udienza cui presero parte alunni e superiori del Germanico ebbe a dire, riferendosi al Coassini: “Purtroppo in quest’anno ho lamentato e pianto con voi per quell’ottimo giovane che era a tutti di ammirazione, e che con tanto ardore si apparecchiava alle fatiche apostoliche…”. Conclude l’autore della biografia: “Coassini passò come una visione, sfiorò quasi appena la polvere della valle del pianto, ma lasciò tracce indelebili e soave profumo di virtù.
Sabato 22 dicembre ore 18.00 nel Duomo di Gradisca solenne celebrazione Eucaristica presieduta dall’Arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli nel Centenario della pia morte di don Giovanni Coassini. Seguirà l’incontro con le realtà vive della parrocchia nell’Oratorio a lui intitolato.