“Aria di festa, festa fra amici, riuniti intorno alla sua parola…..” E’ questo il refrain di un canto, che ho ascoltato non so quando, e non ricordo dove, che mi e’ risuonato nella mente, appena approdata sul sagrato del Duomo di Gradisca, domenica 16 settembre, gremito di persone che, gioiosamente, si ritrovavano per celebrare l’Eucarestia e stringersi, con affetto ed un po’ di commozione, intorno ai trentatre adolescenti che si preparavano a ricevere il Sacramento della Confermazione. Pietro a nome dei catechisti ha presentato al Vescovo De Antoni i cresimandi, sottolineando con coraggio e verità, le difficoltà, la fatica, ma anche la gioia di camminare insieme con loro, alla scoperta del volto di Cristo e del valore della Fede che può diventare credibile e bazzicabile se i ragazzi possono far riferimento a modelli attuali e concreti. Non a caso, il catechista ha lanciato alcune salutari provocazioni atte a risvegliare riflessioni e risposte non scontate da parte di tutti. Provocazioni riprese dal Vescovo che nella sua omelia semplice e profonda, ha saputo trarre, come il famoso saggio scriba del Vangelo, dal proprio tesoro, “cose nuove e cose antiche” (Mt. 13,52) coniugando l’attualità della vita sociale di oggi con l’attualità eterna della Parola di Dio.
Così, da immagini evocative, quali lo spiaggiamento delle balene, l’addomesticabilita’ dei delfini, la bellezza dei bronzi di Riace, Mons. arcivescovo ha tratto spunto per evidenziare come il cristiano, ma l’uomo in generale; rischi di perdere l’orientamento; come sia meno faticoso adeguarsi che stare all’erta e coltivare spirito critico; come il nostro essere figli di Dio, che hanno ereditato, nel Battesimo, la natura di suo figlio Gesù Cristo sia sepolto sotto le macerie di sovrastrutture dovute a una società che vuole tutti uguali, tutti consenzienti, tutti assopiti. E come ci sia bisogno di risvegli, come questa bellezza che c’è in noi abbia necessità di uscire alla luce in tutto il suo splendore, cosicché possiamo amare noi stessi e gli altri, in questa immagine e somiglianza con il Creatore, che poco ha a che fare con l’immagine che, nel tempo abbiamo costruito di noi stessi. Lo Stabat Mater (Gradisca celebrava anche la solennità della Vergine Addolorata, patrona della città) cantata come canto d’ingresso ha acquistato il suo senso, ancora una volta, nelle parole del Vescovo.
Maria è colei che testimonia più di ogni altro, il potere dello Spirito Santo che l’ha resa madre e le ha permesso di non soccombere nella prova. Bella la sottolineatura di Mons. Dino che ha rimarcato il verbo “stare” come situazione di fermezza e di incrollabilità. Maria non è accasciata e piangente, ma Maria sta, cioè può contemplare, in piedi, il dolore umano più devastante, perché ha accolto, a suo tempo, una parola, l’ha custodita e sa che si realizzerà, perché Dio è fedele. Allora la Fede non è una parola vuota, non è neanche uno sforzo, ma è una forza, e Maria e Gesù, che l’hanno concretamente sperimentata, la rendono credibile e praticabile. Mons. Dino ha invitato tutti a prendere consapevolezza di questo e a desiderare che lo Spirito soffi forte “dai quattro venti” per ridarci quella vita vera e quella speranza indistruttibile di cui abbiamo urgente bisogno. La celebrazione, curatissima in ogni suo aspetto, dai fiori e tovaglie dell’altare, al coro entusiasta e preparato, alla partecipazione attenta di tutti i presenti, ai catechisti che hanno lavorato tanto e bene, ai tre missionari della Comunità Missionaria di Villaregia che si sono legati ai ragazzi nell’ultimo ritiro, al sindaco che rappresentava tutta la città. Un grazie di cuore al Vescovo, le cui omelie lasciano sempre una traccia di meditazione, al quale auguriamo un meritato riposo che sappiamo bene, sarà un riposo “si fa per dire”! e al quale chiediamo una costante preghiera per questa sua Diocesi con la quale ha camminato, per molti anni con difficoltà e fatica, (proprio come i catechisti parrocchiali!) ma anche con gioia, alla continua ricerca e riscoperta del volto di Cristo e della fede.
A.M.