Una comunità ferita, come tante altre e quasi mai entrata sulla scena dei mass media, qui non ci sono stati morti…, quasi mondi del tutto inesplorati, che hanno subito però conseguenze pesantissime per il sisma, ma che sembra essere stati totalmente dimenticati. La nostra visita ai luoghi del terremoto a Poggio Renatico e paesi limitrofi ha constatato questa realtà, la verità inconfutabile dei capannoni crollati, come le TV hanno fatto vedere e delle grandi costruzioni storiche, chiese, palazzi comunali, torri e castelli. Una ricchezza storica unica motivata anche dalla secolare influenza in quei luoghi dello Stato pontificio. La visita ad alcuni paesi, la sosta in una tendopoli, dove siamo stati fermati con convinzione per il pranzo dalla protezione civile di Roma, ci hanno dato la forte impressione che il terremoto ha segnato un fattore di forte instabilità personale, comunitaria, e psicologica. Ancora una volta abbiamo toccato con mano come la casa, il lavoro, lo studio, le normali occasioni di incontro e socializzazione siano state profondamente turbate dall’evento lasciando tracce profonde e causando un forte disagio nella normale gestione della vita quotidiana.
Dentro questo quadro, l’incontro con don Simone, giovane parroco di un paesone di novemila abitanti, coraggioso e convinto che la sua serenità può essere la serenità anche dei parrocchiani. Con lui, dopo che si è assorbito per tutta la mattinata, una delegazione di ingegneri, soprintendenza ecc. per la schedatura della sua chiesa, abbiamo compreso la situazione in modo più preciso e pastorale.
La parrocchia dice il parroco è la classica dell’Emilia, comunità con una forte vocazione all’impegno e al lavoro, con una vita economica sostanzialmente fondata sull’agricoltura e su alcune industrie, nonchè sul lavoro esterno al paese. Terre che hanno storicamente incontrato nella storia il passaggio dall’antico stato pontificio, alle amministrazioni di sinistra. Poggio Renatico infatti è stato un feudo è appartenuto alla famiglia Lambertini probabilmente fin dal 972, che nel diciottesimo secolo ha dato anche un Papa alla chiesa, Benedetto XIV. La situazione umana è una realtà indubbiamente ferita che avrà bisogno di tempo per rimarginare cos’è successo. Adesso la comunità parrocchiale vive nelle sue strutture una grande sofferenza, chiesa inagibile, come pure la canonica, che per la sua ampiezza fungeva anche da oratorio e spazio per le attività di catechesi. Dopo le verifiche, pur con la paura che rimane circa trecento persone sono rimaste senza casa, ma la preferenza è quella di trovare in qualche modo sistemazione in affitto o da parenti piuttosto che dar luogo all’intervento di prefabbricati, cosa che invece sarà necessaria nei paesi dell’epicentro del sisma. Il ritrovo sociale era la piazza della chiesa dove adesso c’è la zona rossa, sembra quasi visivamente che il terremoto si sia fermato in piazza, luogo dei simboli della comunità, a scuoterla per bene. Il parroco per tanti motivi ha instaurato un piano di riduzione delle messe feriali e festive, anche nella diocesi di Bologna, come pure nelle altre della regione, la crisi vocazionale, la scarsità del clero si fanno sentire, tanto che a volte le sostituzioni fanno percorre a preti e frati anche 50 chilometri! Ma le attività estive con ragazzi, giovani e bambini don Simone ha deciso di mantenerle comunque perché c’è bisogno di essere impegnati in qualcosa che non sia il terremoto, di pensare ad altro. C’è poi bisogno di vedere che qualcosa si muova, perché dopo la prima emergenza e la copertura mass mediale, il rischio è del silenzio. Per quanto riguarda le strutture parrocchiali invece si è coscienti di dover realizzare qualcosa di provvisorio ma stabile per anni perché i lavori di recupero saranno lunghi e impegnativi. Se la comunità infatti non riuscirà a riprendere una certa normalità della vita parrocchiale; la vita cristiana, fatta di appartenenza di luoghi, di abitudini, corre il forte rischio di venir compromessa. L’impegno della parrocchia di Gradisca sarà quasi simbolico, l’essere vicini con l’amicizia, l’imbastire un campo di volontariato nell’animazione del Grest e della comunità nei primi giorni di agosto, l’incontrare il parroco e collaboratori a Gradisca a settembre. L’ideale sarebbe che, com’è avvenuto per il Friuli, e l’idea sta già convincendo alcuni vescovi emiliani, quello di Carpi ad esempio, fossero le diocesi italiane a fare una sorta di “gemellaggio” con le comunità parrocchiali. E non tanto per la ricostruzione materiale che corre su altri binari, ma soprattutto per vivere la “comunione tra le chiese” che è altamente educativa e significativa. Ad esempio dei giovani animatori che volessero partecipare e offrire la propria presenza nella seconda settimana d’agosto, sarebbero davvero i benvenuti, vivere con noi alcuni giorni di comunione e di servizio, nella condivisione di quello che c’è l’essenzialità delle strutture, ma una notevole umanità che abbiamo toccato con mano.
don Maurizio