Serata da lupi, il 13 giugno sera, giorno che il calendario dedica ad uno dei santi più conosciuti ed amati: S. Antonio di Padova. Prima uno straordinario scampanìo ad opera del locale gruppo degli scampanotadors, poi lampi, tuoni, pioggia e tempesta a tamburo battente, hanno impedito ai gradiscani di rendere omaggio, con la consueta solenne processione, al Santo protettore della loro città.
Ma il duomo era stracolmo e si respirava aria di devozione e di festa, malgrado il tempo infausto e un po’ di delusione per la processione mancata. Numerosi i sacerdoti e i diaconi; attenti e pazienti i bimbi con l'abito bianco della Prima Comunione; variegata l’assemblea, dalla Delegazione dei Cavalieri del S. Sepolcro di Gerusalemme (fieri nei candidi mantelli, elegantissime le dame) al picchetto d’onore dei Cavalieri di Malta; dai rappresentanti della Giunta comunale, alla Schola Cantorum , sempre disponibile a rendere più gioiosa la festa; a tutte quelle persone infine, che lavorando nell’ombra, regalano ai nostri occhi bouquet floreali, tovaglie linde, ricami preziosi, capaci di dilatarci il cuore appena il nostro sguardo li incontra. Esteriorismo estetico penseranno molti, devozionismo popolare, fisime dei preti…..E sarebbe vero se tutto si fermasse ad una bella festa, ben organizzata! Ma in una liturgia c’è ben di più ed in una celebrazione eucaristica, c’è il tutto, c’è il Cristo che attualizza, per ognuno di noi ogni volta e per sempre, la sua forza e il suo potere salvifico. E allora S. Antonio diventa uno dei modelli cui guardare, uno che ce l’ha fatta, uno che viene a dirci: Coraggio, fidati di Lui e anche tu ce la farai! Figuriamoci! Ma la Parola è lapidaria: “Siate santi, perché Io sono santo”! Chissà, forse anche per noi c’è una possibilità, se lo vogliamo!
In questa direzione si è mossa la bella e significativa omelia del celebrante don Lorenzo Magarelli, parroco di S. Caterina a Trieste che ha colto due particolarità essenziali della personalità e della figura di Antonio: la prima, la sua risposta ad una chiamata che lo ha portato ad andare dove, forse, non voleva, sovvertendo i suoi progetti e le sue scelte, da una vita contemplativa da monaco, a camminare instancabilmente fra la gente per annunciare la Buona novella. (E’ ancora Parola che si realizza e ci da la misura della sua credibilità: “Io ho scelto voi, non voi avete scelto me”!
La seconda, il suo portare Gesù fra le braccia, a significare la realtà di un Dio che non sta nei suoi cieli a contemplare le stelle, ma scende fra gli uomini e si fa come loro, per stare con loro e per condividere con loro tutto, (fuorchè il peccato!) .
“E’ un Dio che non ha paura di sporcarsi le mani – ha sottolineato don Lorenzo – un Dio che ci ha regalato cuore e intelligenza, perché coniugando sapientemente entrambi, possiamo diventare capaci, insieme con Lui, di compiere meraviglie”.
Peccato davvero non sia stato possibile uscire in processione, perché percorrere le strade cittadine non è “far fare un giretto alla statua del santo per fargli cambiar aria “ – ha rincarato don Lorenzo – ma è prendere coscienza della nostra attitudine di cristiani chiamati non fare gli stanziali, ma a camminare, ed a camminare insieme, anche quando la marcia è dura, anche quando la notte oscura sembra volerci inghiottire, anche quando ci sembra di non saper più dare ragione della nostra speranza!
Recita il profeta Isaia: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace,messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”. Così sono stati, sicuramente, i piedi di S. Antonio e così , per sua intercessione e con l’aiuto di Dio, anche noi possiamo diventare annunciatori di Buone Notizie, in un mondo ed in un momento storico in cui le notizie negative e di morte sono all’ordine del giorno. Annunciare la Vita, l’Amore e la Speranza oggi, può apparire pura follia, e lo sarebbe se il Maestro questa follia non la avesse già realizzata duemila e più anni fa, stendendo le braccia sulla Croce e proclamando la Risurrezione per l’umanità intera. La celebrazione si è conclusa con la venerazione alla reliquia del Santo, col prendere il pane benedetto, con una preghiera dinanzi la sua statua in estasi, quasi a richiamarci a volgere lo sguardo sulle cose invisibili, su quelle eterne e con la consapevolezza di aver compiuto comunque una processione, virtuale almeno, nel nostro cuore: un piccolo passaggio da una situazione, forse un po’ confusa e distratta, a una di maggior chiarezza e presa di coscienza del nostro essere e dirci cristiani.
E sul sagrato del Duomo, guardando il cielo che, finito il temporale, stava versando le ultime lente e leggere lacrime, abbiamo come percepito il Sorriso di S. Antonio che, dal suo trono di gloria, vicino all’Altissimo, stringeva Gradisca in un abbraccio protettivo e benedicente.
Alfreda Molli