Carissimi, questa sera dovremmo ancora una volta ringraziare il Signore per la concretezza con la quale ci ama, per poter rivivere in questo momento liturgico il mistero della sua Passione. Ma dove cade questo suo amore, contrassegnato oggi in modo del tutto particolare dalla Croce? Oggi le chiese sono un po’ immagine della Chiesa-comunità, svuotate di ogni bellezza, rischiano l’insignificanza sociale e non solo..
E questo perché rischiamo o abbiamo di fatto abbandonato la Croce, quella di non volerla negli ambienti pubblici era solo la punta dell’eisberg di una riluttanza più antica e non solo laica alla Croce, cioè a Cristo, cioè ai valori cristiani, cioè alla Chiesa! Un tempo, la croce veniva “piantata” stabilmente agli incroci delle strade, veniva posta in evidenza in ogni chiesa, veniva portata in processione e proposta alla venerazione del popolo. Sembra invece che oggi la Croce non sia più di moda, sia scomoda, e se è vero che (sono parole di don Tonino Bello che ho già citato in questa quaresima) “la croce è l'unità di misura di ogni impegno cristiano,dobbiamo fare attenzione al pericolo che stiamo correndo: quello che san Paolo chiama "l'evacuazione della croce" la croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive, ma noi vi giriamo al largo, come quando,si sfiora una città passando dalla tangenziale”.
Questo segno ci richiama la storicità di Gesù, del figlio di Dio, in Lui infatti (sono parole dette ieri da Papa Benedetto XVI alla Messa crismale in San Pietro) “Dio stesso si è messo alla ricerca di noi. Il fatto che Egli stesso si sia fatto uomo e sia disceso negli abissi dell’esistenza umana, fin nella notte della morte, ci mostra quanto Dio ami l’uomo, sua creatura. Spinto dall’amore, Dio si è incamminato verso di noi. "Cercandomi Ti sedesti stanco … che tanto sforzo non sia vano!", preghiamo nel Dies Irae. Dio è alla ricerca di me. Voglio riconoscerLo? Voglio essere da Lui conosciuto, da Lui essere trovato? Dio ama gli uomini. Egli viene incontro all’inquietudine del nostro cuore, all’inquietudine del nostro domandare e cercare, con l’inquietudine del suo stesso cuore, che lo induce a compiere l’atto estremo per noi.
E continuava Papa Benedetto con parole forti riprese ieri dai TG: “Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo?”
Fratelli e sorelle, stasera, lasciamoci spiritualmente piantare la croce nel cuore, nel perimetro della nostra vita.
Perché la sua croce infatti non grida vendetta, non accusa i colpevoli, ma grida la benevolenza di Dio che ci riconcilia a sé; grida la compassione del Padre ai nostri dolori; grida la vita che risorge in virtù di Cristo Signore.
Non dimenticare la croce ci darà la misura dell’amore con cui siamo stati salvati e ci renderà saldi nella fiducia in Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito che si è offerto “fino alla morte, e alla morte di croce””…………..
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“Fino alla morte, e alla morte di croce” “Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte. E alla morte di croce”. Abbiamo ascoltato questo passo dalla lettera di San Paolo agli Efesini scritta a modo di manifesto e poi dirà ai Corinti: “noi predichiamo Cristo crocifisso …. potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 22-24). Ci sono due parole: croce e obbedienza, che oggi fanno molto problema e che sono spesso travisate del loro vero significato. Così è stato anche per me. Agli occhi di San Paolo la croce assume una dimensione universale. Su di essa Cristo ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro, distruggendo l’inimicizia (Ef 2,14-16). Per nSan Paolo la croce è come un grande albero che abbraccia tutto il cosmo, con il braccio verticale unisce cielo e terra e con il braccio orizzontale riconcilia tra loro i diversi popoli del mondo. Quindi la croce è vista non come castigo, rimprovero o argomento di afflizione, ma gloria e vanto del cristiano. Infatti San Paolo dirà: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Gal 6, 14). Paolo ha piantato la croce al centro della Chiesa come l’albero maestro al centro della nave; ne ha fatto il fondamento e il baricentro di tutto. Dio ha prestabilito Cristo a servire come strumento di espiazione per eliminare il peccato che è la causa principale dell’infelicità degli uomini, in quanto li rinchiude nella menzogna e nell’ingiustizia. Con la sua morte Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza, ne ha fatto una via alla risurrezione e alla vita. Il senso nuovo dato da Cristo alla sofferenza non si manifesta tanto nella sua morte, quanto nel superamento della morte, cioè nella risurrezione, è la gioia in questo modo, ad avere l’ultima parola, non la sofferenza, e una gioia che durerà in eterno. Gesù morendo in croce ci dona la salvezza. Questo cosa significa per noi? E cosa centra con l’obbedienza? C’entra, perché la croce significa che Gesù viene a perdonarci, si prende i nostri peccati e va Lui in croce a morire per te. Hai peccato? Hai ucciso? Gesù dice: “mi prendo io il tuo peccato e vado a pagarlo con la mia morte, perché tu sia salvato. Lascia che io vada a morire in croce per te.” Quando ti ritrovi da solo davanti ai tuoi guai, ai tuoi errori, alle tue colpe e alle tue malattie, ti sei mai inginocchiato davanti alla croce? Dicendo: “Signore, io accetto che tu muori per me, perché tu mi ami fino alla morte.” Questa è l’obbedienza San Paolo la chiama l’obbedienza della fede (Rom 1,5). Dio manifestando Gesù, ci dà il perdono. Obbedire vuol dire accettare il perdono che ci viene dato da Dio. Si obbedisce quando crediamo con tutto noi stessi a Gesù. Facendo questo noi veniamo giustificati da Dio, cioè ci rende innocenti e dona a noi lo Spirito Santo che ci tocca e ci segna. Con il perdono ricevuto possiamo amare veramente il prossimo, poiché siamo liberati dalla colpa che ci opprime. Morendo in croce Gesù ardeva d’amore per ognuno di noi e si fa completamente solidale con la nostra umanità. Per esempio: hai tradito nel matrimonio? Allora Gesù si fa tuo solidale, si prende la tua colpa, va a morire in croce e lava nel suo sangue la tua colpa. Tu hai fede quando accetti che Lui ha fatto questo per te, questa obbedienza della fede ti rende innocente, cioè giustificato dinanzi a Dio. Gesù dimora in noi quando facciamo questo atto di obbedienza. Ci dice: “I tuoi problemi sono anche i miei, lascia che io li condivida con te, per te, in te, perché sei prezioso ai miei occhi e io ti amo.” Perché allora viviamo come se le preoccupazioni , le angosce fossero totalmente nostre? Affidiamo i nostri problemi a Gesù che è vivo ed è molto più vicino a noi di noi stessi. A quanti accolgono la sua misericordia Dio effonde il suo Spirito. Davanti alla croce apriamoci totalmente al suo amore che ha per ognuno di noi e così possiamo dire: “Grazie Gesù, per quello che tu hai fatto per me. Lo accetto nella mia vita come dono.”
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Il vangelo di Giovanni, come già accennato da don Maurizio nella sua riflessione, ci ha offerto, questa sera, una scena di desolazione: un colle spoglio, tre croci, due ladroni nel in mezzo un uomo che ha osato farsi Dio. Ai piedi della croce qualche soldato, una madre affranta, alcune donne che la consolano e un uomo, il solo rimasto della “cricca” di Gesù. È (appunto) Giovanni, il discepolo amato che con l’incoscienza e la generosità dei giovani e forse in nome di quell’Amore che ha dato senso alla sua vita, si è fermato lì, ancora ignaro del fatto che verrà coinvolto in prima persona in una esperienza che acquisterà una portata universale. Ma per quanto possa sembrare strano o incredibile, in questo momento, ai piedi della croce, non tanto di questa ma nel paesaggio di allora, ci siamo anche noi; stanchi, forse straziati come Maria, forse inconsapevoli come Giovanni; con le nostre rabbie, le nostre ribellioni, le nostre paure. Forse siamo anche un po’ distratti e sopra-pensiero, perché la celebrazione si fa lunga, un po’ troppo lunga ……. Ma la verità è che qui ed ora ciascuno di noi è chiamato a prendere una decisione: o far finta di niente partecipando al solito rito della via Crucis e della adorazione della croce, oppure sentirsi parte dell’evento e prendere coscienza seriamente che quell’uomo-Dio inchiodato sulla croce, è lì per noi, ci sta guardando con Amore infinito e ci vuol regalare la salvezza a tutti i costi, a costo della sua stessa vita.
Ma io, voglio essere salvato? E poi, da che cosa devo essere salvato? Salvato è uno che viene tirato fuori da una situazione di pericolo, da una situazione di morte, di sofferenza, di dolore, di paura.
Qualcuno di noi si trova in questa situazione? Se sì ecco la buona notizia: Gesù e Gesù crocifisso, viene a liberarci. Se mi sento inutile, se non mi sento amato, se i sensi di colpa mi rodono il cuore, se mi sento un fallito, qui già da ora, per me, c’è una Speranza! “Donna ecco tuo figlio!” “Ecco tua Madre!” Gesù sta in uno stato di sofferenza atroce, ma in un ultimo sussulto d’Amore e di umanità, prima di spirare, si preoccupa di noi. Il suo pensiero è per noi, per la nostra fragilità, la nostra difficoltà di capire e di cambiare. Sa che da soli è dura, che abbiamo bisogno di incoraggiamento, di conforto, di tenerezza. E ci regala sua Madre, Vergine della tenerezza, perché non ci sentiamo orfani, perché non ci sentiamo soli, perché ad una Madre non si può dire di no.
È un’offerta, un dono che ci viene fatto: sta a noi accoglierlo o rifiutarlo; sta a noi decidere, già da ora, se aprire le porte della nostra casa e della nostra famiglia a Maria; se accettare di affidare a lei le nostre cause perse certi che lei, avvocata nostra, ce le renderà vittoriose. “Ho sete!”: è un filo di voce, quello che esce dal corpo ormai allo stremo di Gesù, ma vorrebbe poter risuonare ora e qui come un grido capace di scuoterci dalla nostra apatia. “Ho sete!”: ti amo, ho sete di te uomo; ho sete del tuo amore! Se non mi dai il tuo amore io muoio!
E poiché a questa richiesta rispondiamo offrendogli aceto, cioè indifferenza e noncuranza, Gesù muore. Muore d’amore, muore per amore; per me, per te, per tutti noi, per l’umanità intera.
Che cosa vogliamo fare allora davanti a questa morte, davanti a questa croce? Ancora una volta, nella libertà dei figli di Dio possiamo alzare le spalle e rimanere fermi nel nostro modo di essere e di vedere, oppure possiamo guardare al Cristo con occhi nuovi, desiderando che ci sclerotizzi il cuore, che ci dia sentimenti di gratitudine e di stupore, che ci faccia guardare alla croce senza paure o sentimentalismi, ma con la consapevolezza che proprio da questa croce ci viene la speranza di essere con Cristo vincitori della morte e gustare già da qui sprazzi di vita eterna. Allora il paesaggio desolato che abbiamo contemplato all’inizio, non è più un paesaggio di morte perché la luce del Risorto lo avvolgerà di calore e di colore; perché la Pasqua, che è “passaggio” può risvegliare il nostro essere uomini e condurci per sentieri nuovi ed impensati, farci passare da una situazione di stallo ad una di movimento gioioso e fecondo. Perché, alla fin fine, vivere da salvati, cioè da redenti, vuol dire star bene con noi stessi e con gli altri; vivere in pace e senza paure, vivere insomma da figli amatissimi di Dio.