Rivolta e tensione altissima nella notte di sabato scorso al Cie di Gradisca. In tarda serata nella struttura isontina di identificazione ed espulsione si sono verificati gravi disordini e un tentativo di fuga di almeno una trentina di persone. La sommossa è stata sedata dalla polizia, che è ricorsa all’uso dei lacrimogeni. Un immigrato algerino di 51 anni sarebbe rimasto ustionato sul 20% del corpo. La protesta - secondo una prima ricostruzione - è stata inscenata come ormai abitudine dei clandestini sul tetto della struttura, che ospita circa 140 immigrati. Le cattive condizioni di vita all’interno del centro e il prolungamento dei tempi di trattenimento – sino a sei mesi – introdotti dalla legge Maroni sono fra le cause della sommossa, anche se il pretesto sarebbe stato costituito dall’espulsione di alcuni tunisini. I protagonisti dell'episodio, che hanno cercato invano di scavalcare la recinzione del centro, hanno anche dato fuoco ad alcune suppellettili nel piazzale interno del Cie. La rivolta è stata sedata dall'intervento delle forze dell’ordine intorno alle ore 3. Analogamente, alla stessa ora anche nel Cie di via Corelli, a Milano, è andata in scena una rivolta che ha avuto conseguenze più gravi. Pure in quel caso alcuni immigrati hanno tentato di scavalcare le recinzioni tentando la fuga. La rivolta è cominciata attorno a mezzanotte e mezza. Dieci immigrati hanno poi tentato di scappare ma sette di loro sono stati bloccati mentre di tre se ne sono perse le tracce. Due immigrati sono stati ricoverati per accertamenti rispettivamente al San Raffaele e al Policlinico del capoluogo lombardo. Sei poliziotti e un militare sono stati costretti a fare ricorso a cure mediche. Non si esclude una "regia" unica tra la rivolta di Milano e quella avvenuta alla stessa ora al centro di Gradisca in provincia di Gorizia ed è su questo eventuale filo conduttore che stanno lavorando le forze dell’ordine, analizzando i tabulati dei telefonini degli immigrati per individuare eventuali connessioni con i clandestini ospitati a Milano. Nella struttura dell’ex caserma Polonio si attende da oltre un anno l’intervento chiamato a rendere il centro di identificazione ed espulsione una struttura finalmente a prova di fughe e rivolte interne. Ovvero da quando - a seguito di una sommossa – venne messo totalmente fuori uso il sistema antifuga ad infrarossi. Quello che, per intenderci, aiuta le forze dell’ordine ad intervenire in pochi secondi in caso di tentativi di evasione. Ma l’intervento di ripristino dei sistemi di sicurezza dovrebbe prevedere anche altre migliorìe al Cie: su tutte la ricollocazione dei cosiddetti offendicula, la sezione ricurva in ferro inizialmente posizionata in cima alle recinzioni e rimossa nel corso del 2007 sulla base delle indicazioni fornite dall’allora commissione ministeriale De Mistura, che ne chiese l’eliminazione per ragioni «umanitarie». Terzo e ultimo intervento previsto, il potenziamento del sistema di telecamere a circuito chiuso, essenziali per la sorveglianza. Ebbene, niente di tutto questo è ancora avvenuto. Stando a fondate indiscrezioni l’indagine sugli appalti d’urgenza avviata dalle Procure di Perugia e Firenze avrebbe consigliato un «congelamento» delle operazioni. Nulla di torbido, in realtà. Semplicemente il Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale, l’ente che supervisiona il funzionamento dei centri immigrati italiani, ha recentemente vissuto un passaggio di consegne fra i prefetti Mario Morcone e Angela Pria e quest’ultima avrebbe prudentemente deciso di non dare il suo placet alla procedura d’urgenza prevista dal suo predecessore per evitare equivoci. Si procederà dunque con un bando europeo che potrebbe essere definito entro alcune settimane. Al termine del maquillage la capienza potrebbe anche essere riportata da 198 alla sua effettiva capacità di 240 posti. Va anche detto che in realtà qualche intervento al Cie in queste settimane c’è comunque stato. Per la prima volta è stato installato un dispositivo a raggi x per la scannerizzazione della posta che ogni giorno viene inviata al Cie. Ancora fresco è il ricordo dell’esplosione del 22 dicembre scorso, quando un pacco preso in consegna dal direttore del centro, Luigi Dal Ciello, deflagrò senza causare fortunatamente feriti. Altri lavori di semplice manutenzione stanno interessando le stanze dalle quali gli immigrati hanno tentato le fughe più recenti, forzandone le grate. A maggio erano state tre le evasioni in neanche dieci giorni per un totale di 33 clandestini datisi con successo alla macchia. Dal 2006 ad oggi nel Cie di Gradisca sono stati cagionati danni per oltre 1 milione di euro.
Luigi Murciano
“E’un grido che ci interpella, ma che resta soffocato da quelle mura alte di via Udine”. Così il parroco di Gradisca, don Maurizio Qualizza, commenta i fatti all’interno del Centro di identificazione ed espulsione. “Molti non sanno quello che sta accadendo all’interno del Cie – afferma il sacerdote - ma la situazione a quanto è dato da sapere sembra molto precaria. Troppi sono infatti gli episodi di violenza che si ripetono, come le manifestazioni come quella dell’altro giorno. Ma i tentativi di fuga – denuncia don Qualizza - sono solo la punta dell’iceberg di una realtà sommersa, di un’immane sofferenza umana”. A Gradisca d’Isonzo tutto comincia, ancora una volta, con un tentativo di espulsione di alcuni tunisini. “Per resistere, i reclusi dell’area rossa salgono sui tetti delle celle, e la polizia sembra aver risposto con un lancio di lacrimogeni. In solidarietà con i loro compagni, i reclusi dell’area blu trascinano i materassi in cortile e li incendiano, mentre un recluso – è la ricostruzione dei fatti secondo il parroco - viene colpito da un candelotto lacrimogeno. Altri sono feriti per atti di autolesionismo, le strutture fortemente danneggiate, sporche e inagibili I reclusi sembra abbiano rifiutato i pasti. Potrebbe rimanere un fatto di cronaca di mezza estate, e invece è un grido che ci interpella – denuncia il sacerdote - ma che resta soffocato da quelle mura alte di via Udine. Certo i miracoli non si possono fare, ma quando penso alle chiacchiere di tanti, anche in seno alla comunità, e a certi suoi organismi la delusione è tanta. Nessuno ha chiamato in parrocchia per chiedere se si potesse fare qualcosa, dare una mano, cercare un dialogo. Solo con una sinergia si potrebbero ottenere dei risultati, ma l’impressione è che ormai abbiamo fatto il callo a tutto e che la comunità gradiscana viva il Cie con assoluta indifferenza”.
Luigi Murciano