"Il tema “Noi siamo il corpo di Cristo” scandito nelle varie lingue parlate nel nostro territorio ha accompagnato la nostra preghiera sottolineando che questa nostra città è multilingue, multietnica, multiculturale. Tutti ci siano messi dietro la croce, consapevoli che tutti gli uomini sono uguali davanti e sotto di essa. Convinti anche che alcuni sono costretti a portarla ingiustamente e dolorosamente a causa dei nostri egoismi e delle nostre chiusure. Abbiamo percorso la via della croce pensando ai cristiani crocifissi in vari Paesi del mondo: in Iraq, in Sudan, in Egitto, in Pakistan. Vogliamo ricordare questa sera i cristiani di Terrasanta ridotti ormai a poche migliaia e senza risorse: se non li aiuteremo saranno costretti a lasciare la terra di Gesù.
Ma lasciate che questa sera parli di una croce che si sta abbattendo sulla Chiesa intera, Corpo di Cristo. Quest’anno la nostra Via Crucis cittadina si conclude infatti in un clima di sospetto e di tristezza, per denunce che toccano alcuni membri della Chiesa, sui minori. Il nostro pensiero va verso le vittime che meritano compassione, accompagnamento e riparazione. In un momento in cui milioni di fedeli frequenteranno le nostre chiese per confessare la loro fede, il fango viene abbondantemente lanciato verso il papa e la comunità cristiana. Noi non vogliamo sentirci rivolgere le parole di Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” ma nel contempo affermiamo che non abbiamo da arrossire dei nostri preti, la cui stragrande maggioranza vive il suo impegno nella fedeltà e dona la sua vita generosamente per Dio e per i fratelli. Non è senza significato che questa condanna mediatica avvenga mentre ci prepariamo a celebrare il mistero Pasquale di Cristo e a seguirlo, come questa sera, nella sua passione e morte per poi celebrarlo al mattino di Pasqua risorto. Continua ad avverarsi anche oggi la profezia di Isaia: “Ho presentato il mio dorso a quelli che mi flagellano e le mie guance a coloro che strappavano la barba: non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”. Non è possibile che, a causa di alcuni, si dimentichi il comportamento esemplare di più di 400 mila preti nel mondo. Non è corretto! Alcuni poi vogliono lasciarci credere che il celibato sarebbe una condizione favorevole agli abusi. Sappiamo però che queste perversioni, che sembrano strutturali, non dipendono dallo stato di vita. Per costoro il matrimonio dei preti risolverebbe tutto. Questa strana supposizione procede da una falsa concezione che il matrimonio darebbe visto come una semplice protezione contro le devianze. La condizione celibataria, come peraltro quella matrimoniale, è una forma esigente di vita cristiana. Per essere pienamente vissuta richiede un cammino di maturazione e di libertà che il cristiano sa possibile solo grazie alla fedeltà a Cristo. Il celibato, insieme al matrimonio, sono due modalità dell’amore umano. Un amore esigente che chiede la donazione di sé all’altro per potersi realizzare. Un amore radicale, come radicale è la natura umana nelle sue esigenze di fedeltà. Si può tradire l’amore nel celibato come pure nella vita coniugale.
Per fortuna noi cristiani, sacerdoti e laici, sappiamo che l’amore di Cristo è rigeneratore anche del nostro, soprattutto quando esso vacilla. A Lui rimaniamo ancorati nelle nostre scelte, anche se sono segnate, a volte, da tante e diverse forme di egoismo… Non dimentichiamo che la Via Crucis, cammino di purificazione e di mistero, passa attraverso le tenebre ed è destinata alla luce della Pasqua, cioè alla vittoria della vita sulla morte.
† Dino De Antoni
Arcivescovo Metropolita di Gorizia