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Dopo 17 anni di servizio pastorale, don Maurizio Qualizza lascia l\'incarico di parroco di Gradisca d\'Isonzo
DOPO 17 ANNI DI SERVIZIO PASTORALE, DON MAURIZIO QUALIZZA LASCIA L'INCARICO DI PARROCO DI GRADISCA D'ISONZO
Don Maurizio saluterà la comunità nell'ambito dei festeggiamenti per la Vergine Addolorata, patrona della Fortezza
La notizia circolava da qualche tempo, ma ora assume i crismi dell'ufficialità. Dopo 17 anni di servizio pastorale, don Maurizio Qualizza lascia l'incarico di parroco di Gradisca d'Isonzo. Non si tratta di un normale avvicendamento deciso nell'ambito di un riassetto delle parrocchie della Diocesi. Don Qualizza, 58 anni, mossese, un passato da segretario dell'allora Arcivescovo Bommarco e un delicato trapianto al fegato nel 2004, ha rassegnato le proprie dimissioni in una missiva dai contenuti privati inviata all'Arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Redaelli. Il sacerdote saluterà la comunità nell'ambito dei festeggiamenti per la Vergine Addolorata, patrona della Fortezza. Al momento la Diocesi non ha diramato una comunicazione ufficiale su un eventuale avvicendamento in seno all'Unità pastorale del Santissimo Salvatore. L'impressione è che, in attesa di una capillare riorganizzazione (e accorpamento) delle parrocchie nel 2016, l'Arcivescovo sia per ora orientato a nominare un amministratore temporaneo. Forse il sacerdote di qualche parrocchia limitrofa, a sostegno dell'operato dell'attuale cappellano don Giulio Boldrin e dei tre diaconi permanenti attivi in comunità. A don Qualizza abbiamo chiesto le ragioni della decisione e un bilancio del cammino a Gradisca.
Perche' lascia? Rinunciare alla parrocchia è cosa rara nella consuetudine ecclesiale..
La decisione non è venuta dal vescovo ma esclusivamente da me. Sostanzialmente per dilatare i miei tempi e la mia disponibilità a quel mondo che da anni sto seguendo ma purtroppo non ancora come vorrei: quello delle famiglie che hanno donato gli organi dei propri figli giovani o in generale dei propri congiunti. E’ un mondo di una rara ricchezza umana e spirituale sparso in tutta la nostra Regione: l'incontro tra queste famiglie che hanno avuto lo stesso destino, quello di offrire un incredibile aiuto nel superare una prova che segna comunque per sempre una famiglia. Ho sempre sentito, in quanto io stesso ricevente, un grande dovere morale nei confronti di questo mondo. E poi il mio periodo di parroco è stato lungo. La norma della CEI prevede un servizio di nove anni: io ho raddoppiato. Sono cosciente di avere tirato troppo la corda, specie negli anni post trapianto. C'è anche un tempo per fermarsi.
Com'è cambiata Gradisca in questi anni? E’ indubbiamente cambiata, come tutte le altre comunità. Pur essendoci una significativa presenza ai riti e agli eventi comunitari, ho notato quella globalizzazione dell'indifferenza umana che avanza, una certa religione fai da te. Questo mi ha provocato sofferenza.Gradisca e la sua comunità rimanegono una cittadina con una vitalità particolare, unica, ma anche con il peso sfide che ci interrogano come cristiani. Penso al Cara e ai migranti. L’attenzione a questo tema, l’ho sempre detto, dev’essere di tutta la Diocesi.
Quali ritiene essere i risultati piu' significativi della sua pastorale e, se ne ha, quali i rimpianti?
Potrei citare i restauri dell’oratorio Coassini, della casa canonica, ma anche l’intervento a Santo Spirito, nelle zone esterne della chiesa di San Valeriano. Ma direi anche il grande impegno per i fidanzati, le giovani coppie e famiglie, per i divorziati risposati, per le nuove famiglie. Doni particolari sono stati anche i “gemellaggi” con Lampedusa, che condivide il nostro fenomeno-migrazione, con la Puglia di don Tonino Bello e la nascita della Fraternità francecana che porta il suo nome, con l’Emilia terremotata e la comunità di Poggio Renatico. Il gemellaggio con la Basilica di Sant'Antonio di Padova e la “riscoperta” del suo essere il primo patrono di Gradisca emersa dagli archivi sono anche un segno che mi auguro rimarrà nel tempo. Ma soprattutto la Caritas parrocchiale, un fiore che giustamente si vede poco ma fa tanto per chi soffre ed é la cartina al tornasole della "cristianità" di una parrocchia. Il rimpianto è di non aver dato abbastanza, specialmente ai giovani. Negli ultimi sette anni mi sono concentrato molto sulle famiglie, in quanto toccavo con mano la disgregazione e i problemi di tante persone. L'altro rimpianto é l'impossibilità di una riapertura in tempi brevi della chiesa dell'Addolorata, anche se con l'ultimo intervento l'abbiamo "salvata".
Quanto è difficile essere sacerdoti oggi? Il mondo è cambiato. Si è rovesciata la gerarchia di valori: come cattolici siamo passati dall'essere una maggioranza sociologica a essere una minoranza. Il riconoscimento sociale del sacerdote non c'é più. La realtà è che il sacramento che segna l’allontanamento dalla Chiesa non è più la Cresima, ma il Battesimo. Di conseguenza salterà l’impianto della normale iniziazione cristiana. Ci attende una prospettiva e un'identità nuova e di Chiesa, con il bisogno di ripartire seriamente con le famiglie giovani. Mi auguro possa accadere anche a Gradisca. Se posso fare un invito è a continuare e sostenere ancora di più don Giulio, che spero rimanga, e il parroco che verrà.
l.m.
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