Bella la rappresentazione del teatro sociale, alcune sere fa in Corte Padre Marco d’Aviano. Per teatro sociale si intende quell’azione scenica che interviene con gli strumenti del Teatro in situazioni di criticità sociale come le zone di guerra, i centri di ospitalità e identificazione per immigrati, le comunità terapeutiche, il carcere, le periferie e in particolare modo capace di agire nell’ambito della questione interculturale.
«La Porta degli Uomini» è un viaggio di conoscenza intrapreso sulla scena attraverso un racconto che si snoda per azioni teatrali, gesti, suggestioni, e che risuona come un canto antico ma sempre vivo, vitale e rinnovabile.
L'agire sulla scena dunque, smarcato dalla facile retorica sullo straniero, si fa possibilità di interpretazione e comprensione del presente e dei suoi accadimenti, possibilità di incontro tra attori e spettatori, possibilità di integrazione delle diverse visioni del mondo in un orizzonte più ampio che sappia contenerle tutte.
«La Porta degli Uomini» si allontana da ogni dimensione folklorica e spettacolare e andando in scena come performace tenta di riportare un dato della realtà in forma teatrale: l'emergenza profughi e più in generale il fenomeno delle migrazioni sono oramai elementi strutturali del nostro mondo e come tali vanno pensati.
L'ospitalità è sacra, l'accoglienza ha le sue regole, si tratta dunque di elaborare una terza parola che possa contenerle entrambe attraverso la quale interagire con la geografia di un mondo globalizzato in continuo mutamento, i cui accadimenti sono solo apparentemente lontani, un mondo in cui uomini e donne quotidianamente devono fuggire dai loro paesi incendiati dalle guerre, che sono dappertutto.