Venerdì 13 giugno, festa di S. Antonio di Padova, le campane del Duomo di Gradisca diffondono nell’aria il loro suono gioioso e squillante mentre la gente affluisce numerosa sul sagrato e poi all’interno della chiesa dove, lateralmente all’altar maggiore troneggia una grande statua del Santo dall’espressione ieratica, patrono della città.
In prima fila il neo eletto Sindaco Linda Tomasinsig, di lato l’immancabile picchetto d’onore dell’ordine di Malta, all’altare numerosi sacerdoti e diaconi, la Cantoria al completo, gli scout, i bambini che da poco hanno ricevuto la Prima Comunione e tantissime persone convocate dal fascino, sicuramente di un Santo dalle innumerevoli virtù, ma anche dal desiderio di manifestare il proprio affetto e la propria gratitudine al neo-ordinato presbitero, don Giulio Boldrin, che presiede la liturgia eucaristica, intorno a quell’altare che lo ha visto, per un lungo periodo, nelle vesti di diacono.
Si respira aria di gioia, di attesa e di emozione, di un popolo in festa per due avvenimenti che, con significato diverso, si intersecano e coincidono. Come sempre in occasione di feste patronali o comunque di ricorrenze legate a santi e beati, mi risuonano nella mente i versi , ironicamente garbati, di una poesia di Vincenzo Cardarelli poco nota, ma adeguata a sottolineare usanze popolari, consolidatesi nel tempo e, a tutt’oggi, imprescindibili:
“ce ne sono di chiese e chiesuole
al mio paese, quante se ne vuole.
E santi, che dai loro tabernacoli
Son sempre fuori a compiere miracoli.
Santi alla buona, santi familiari:
non stanno inoperosi sugli altari!....
Viene da riflettere certamente sulla religiosità popolare, sullo sterile devozionismo, sui baci sentimentaloidi alle reliquie. E’ inevitabile, è doveroso, è inutile, così come è altrettanto salutare, imparare a guardare ogni avvenimento da almeno due angolature, per non rischiare di cadere nella presunzione di avere la verità in tasca. E’ vero: spesso la religiosità popolare non si coniuga con quella fede adulta alla quale un cristiano è chiamato ad aspirare, ma è anche altrettanto vero che può diventare, spesso, occasione per riscoprire valori perduti, per riprendere pratiche dimenticate, per recuperare un ritorno alle proprie radici, per riconciliarsi con Dio e ritrovare quell’Orientamento del quale si pensava di poter fare a meno.
Insomma, guardando a un Santo, cioè a uno che testimonia che è possibile realizzarsi in pienezza donandosi e spendendo la propria vita per gli altri e per il Maestro, si può aspirare con più coraggio alla Santità e si può contare su uno che è in confidenza con Dio e che a Dio può parlare con autorevolezza di noi, della nostra vita e dei nostri problemi con una probabilità in più di essere ascoltato.
E poi, davanti alla bellezza e alla potenza della Liturgia Eucaristica (all’interno della quale si innesta la devozione a un Santo!) che proclama la Buona Notizia, che genera koinonia, che dona generosamente e salvificamente Gesù stesso, a chi lo vuole accogliere, che elargisce a larghe mani l’amore di Dio e la certezza di una vita senza fine, non ci resta che riconciliarci con tutti i Santi che davvero non stanno “inoperosi sugli altari”! Anzi, se per far uscire dalle proprie case i pigri, gli indifferenti, i delusi, i critici che non vedono una Chiesa corrispondente alle loro aspettative, bisogna solennizzare la festa di S.Antonio, portandolo anche in processione per le vie della città, chi siamo noi, per dirla con Papa Francesco, per giudicare se questo è utile o improduttivo per il processo di crescita nella fede individuale o collettiva? E se la devozione ai Santi porta qualcuno al confessionale e all’Eucarestia, cosa dire?
L’inizio della Santa Messa, con quello scampanellio che richiama alla realtà di un Evento che non riusciremo mai a capire completamente (forse se diverremo santi!?), invita l’Assemblea ad accogliere l’Officiante e a raccogliersi in atteggiamento di rispetto e di preghiera. Al momento dell’Omelia don Lorenzo Magarelli, parroco di S.Caterina in Trieste che ha seguito don Giulio nel suo percorso umano e vocazionale, rivolge al neo-presbitero parole affettuose di incoraggiamento e un appassionato invito a vivere con gioia ed umiltà la sua missione sacerdotale. Sottolinea, con forza, la necessità di non abituarsi mai alla Messa, ma di viverla sempre come una cosa nuova e diversa, facendosi voce di ogni creatura e offrendo a Dio le aspettative, le gioie, i dolori, le miserie di ognuno e di tutti. “Sii uomo di preghiera, prima che di azione – ha rimarcato don Lorenzo – per non lasciarti schiacciare dalla dimensione orizzontale; e sii attento agli eventi, alle persone e alle circostanze, attraverso le quali Dio ti riporterà alla verità del tuo essere prete”. Conclude invitando don Giulio a diventare sempre più uomo di misericordia e àncora sicura per il popolo di Dio, che è chiamato ad amare e a servire. I presenti si accostano, quasi nella totalità, all’Eucarestia e la processione, poco dopo, si snoda lentamente per le vie della città con S.Antonio che, sicuramente, si prenderà a cuore i problemi di Gradisca, affidata alla sua speciale protezione. La celebrazione si conclude con il bacio alla Reliquia del santo e con la distribuzione del pane benedetto, simbolo di carità e invito alla condivisione fraterna.
Ci si ritrova per proseguire la festa con una ricca agape preparata da solerti parrocchiane, ma con il contributo un po’ di tutti.
Per don Giulio una splendida torta “nuziale” e l’augurio che prendiamo a prestito da don Lorenzo:
“Che il Signore benedica i passi del tuo sacerdozio!”
Concludiamo con gli ultimi versi della succitata poesia di Cardarelli perché sono veramente deliziosi!
“ce ne sono di santi al mio paese
Per cui si fanno feste, onoro e spese!
Hanno tutti un lumino e ognuno ha un giorno
Di gloria, con il popolino intorno”.
A tutti coloro che hanno partecipato alla festa e si sono prodigati per renderla bella e gioiosa, il sentito grazie di tutta la Parrocchia e del Parroco, don Maurizio, in modo particolare.
Alfreda Molli