Ricca dei segni propri del rito di ordinazione e del calore umano di un’assemblea attenta e riconoscente al Signore, si è celebrata nella stupenda cornice della Basilica patriarcale di Aquileia, la consacrazione sacerdotale di don Giulio Boldrin.
L’Eucaristia alla quale hanno partecipato anche molti giovani, aveva visto un preludio nella “Veglia di Pentecoste” proposta dalla pastorale giovanile diocesana, sempre in Aquileia. Il rito liturgico è iniziato con l’ingresso dal battistero della Basilica, quasi un accompagnamento fatto a don Boldrin verso l’altare. La liturgia della parola ha rispecchiato come tutte le liturgie diocesane il carattere plurilingue della nostra Chiesa isontina, friulano, sloveno e italiano, così anche alcuni interventi del possente coro e strumentisti hanno sottolineato questa ricca peculiarità.
Particolarmente sentita l’omelia dell’Arcivescovo il quale anche alla fine della Messa di pentecoste non ha mancato di sottolineare il bisogno di far spazio a nuove vocazioni, e sentire questo impegno come Chiesa tutta, essendo don Giulio l’ultimo nostra seminarista a Castellerio. Ricco di significato, il momento dell’imposizione delle mani, prima i due vescovi concelebranti e poi tutti i presbiteri presenti a segnalare la comunione reale e quella da “costruire” di un unico Presbiterio attorno al Pastore.
Affettuoso poi con i concelebranti principali tra i quali tanti amici e compagni di seminario l’abbraccio di pace.
A conclusione del rito molti si sono ritrovati negli spazi esterni dei Patriarchi per un’agape fraterna dove hanno potuto augurare ogni bene al sacerdote novello, augurio sincero che anche noi facciamo da questo sito parrocchiale.
L'OMELIA DELL'ARCIVESCOVO CARLO
Qualche tempo fa ho scoperto che esiste una strana malattia di carattere psicologico. Non so se don Giulio quando lavorava in ambiente sanitario ne ha sentito parlare. Si tratta della “anemofobia”, cioè la paura irrazionale del vento e persino delle correnti d’aria – a volte solo immaginarie… -, paura che può diventare una vera e propria malattia che presenta un insieme di sintomi clinici anche gravi (irritabilità, depressione, abbassamento della pressione arteriosa, cefalee, brividi, ecc.). Su internet si possono trovare degli elenchi di città da evitare se soffri di queste sindrome, a cominciare, c’era da aspettarselo, da Trieste.
E’ una malattia solo a livello psicologico o fisico o esiste una “anemofobia” anche in ambito spirituale? Sono convinto che nella Chiesa e tra i cristiani ci sia un po’ di anemofobia: paura non tanto del vento fisico - che sia la bora o lo scirocco non importa – ma del vento dello Spirito. Perché lo Spirito è vento, è fuoco, è acqua che zampilla dalla sorgente. Lo Spirito è vita e libertà e chi si affida a Lui diventa vivo, diventa libero. Nel colloquio con Nicodemo, riportato nel Vangelo di Giovanni, Gesù, infatti, afferma: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8).
Noi però ne abbiamo paura, cerchiamo sempre le nostre certezze e sicurezze, difendiamo i nostri orizzonti ristretti.
E fanno così non solo gli adulti, spesso disillusi dall’esperienza degli anni, ma anche i ragazzi e i giovani che dovrebbero con più entusiasmo spiegare le vele del loro cuore al vento della vita. Mi auguro che i ragazzi e le ragazze, i giovani e le giovani che stasera sono qui non abbiano paura del vento dello Spirito.
Qualche giorno fa un amico prete, che ogni mattina mi manda un pensiero spirituale, mi ha inviato questa frase: “il vento spegne le candele, ma ravviva il fuoco”. Molto vero.
A volte riduciamo la nostra vita a una candelina smorta, da tenere al chiuso facendo finta di non sapere che prima o poi finirà l’aria e spegnerà la fiammella; mentre invece la nostra vita è fuoco e deve stare all’aperto ravvivata dal vento dello Spirito. Certo il Signore – lo dice il Vangelo di Matteo citando il profeta – «non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta» (Mt 12,20) perché vuole salvarci tutti, ma avremo sprecato i suoi doni, avremo buttato via la vita.
Oggi, don Giulio è qui perché – spinto e guidato dallo Spirito - ha deciso di uscire dalle sue certezze, dalla sua casa, dal suo lavoro, affinché la sua vita sia fuoco ravvivato dallo Spirito e sia a servizio della Chiesa. Un atto di coraggio? Certamente oggi dove ogni vocazione che chiede definitività - e non solo quella del prete, ma anche dei religiosi e delle religiose e degli sposi cristiani – sembra assurda, decidere di darsi al Signore e alla sua Chiesa per sempre appare un controsenso. Eppure è un modo vero per realizzare la propria vita, affidandola al vento dello Spirito.
Le tre letture di stasera ci dicono dove si trova lo Spirito a cui affidarsi. Anzitutto il Vangelo. Gesù fa un’affermazione sullo Spirito, un’affermazione forte; la fa non seduto pacificamente tra gli apostoli e parlando sottovoce, ma in piedi, nel tempio, durante la festa delle capanne e gridando: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Una frase che i manoscritti del Vangelo presentano con due punteggiature diverse. La prima è quella della versione che abbiamo letto, che mette il punto dopo il soggetto “chi crede in me”: i fiumi d’acqua viva, simbolo dello Spirito, sgorgherebbero in questo caso da Gesù. Un’altra tradizione manoscritta mette invece il punto prima del soggetto, per cui la frase sarebbe: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva». Punto. «Chi crede in me, come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». In questa versione lo Spirito sgorga come fiumi d’acqua viva dallo stesso credente. Penso siano vere entrambe le varianti: lo Spirito è dono del Risorto, viene da Lui, dal suo fianco trafitto sulla croce, ma nel credente non si ferma, non perde la sua forza, la sua energia e diventa invece sorgente di vita per lui e per altri.
Lo Spirito che ti viene donato – caro don Giulio – viene dal Signore, ma non è solo per te: è perché venga trasmesso da te a chiunque incontrerai nel tuo ministero. Come trasmetterlo? Faccio solo un accenno lasciando a te di approfondirlo. Nella preghiera di consacrazione dirò riferendomi all’ordinando: “Sia degno cooperatore dell’ordine episcopale, perché la Parola del Vangelo mediante la sua predicazione, con la grazia dello Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli uomini, e raggiunga i confini della terra”. La Parola del Vangelo, con la grazia dello Spirito, sia sempre luce per te e per tutti. La prima lettura presenta una sorprendente pagina del profeta Gioele, sorprendente per il suo respiro di speranza rispetto ad altre parti del libro profetico, piene di minacce e di castighi. Sorprendente anche perché parla dello Spirito destinato a tutti, uomini e donne di ogni età, persino agli schiavi e alle schiave. Il verbo usato – “effondere” – indica abbondanza e si può collegare all’immagine usata da Gesù dei fiumi di acqua viva. Lo Spirito è in tutti e su tutti. Occorre scoprirlo, in forza dello Spirito che è in noi, superando i limiti dei nostri schemi, delle nostre idee, delle nostre aspettative, per cogliere in ogni persona i segni del Regno che viene. E’ significativo che nei Vangeli Gesù parli spesso del Regno senza mai definirlo, ma paragonandolo, soprattutto nelle parabole, a realtà di ogni giorno osservate nella natura e nel lavoro: gli uccelli del cielo e i gigli del campo, il lavoro della massaia e del contadino, la cura del pastore verso il gregge e la speranza del pescatore di prendere pesci buoni, l’astuzia dell’amministratore e la chiusura egoistica dell’uomo ricco. Gesù osservava e trovava in tutto e in tutti i segni del Regno.
Ti auguro, don Giulio, di avere occhi aperti nella concretezza della vita quotidiana per cogliere anzitutto nelle persone la presenza dello Spirito, al di là – lo ribadisco – dei nostri schemi. Permetti che ti citi un solo esempio. Una signora, cresimanda da adulta, qualche tempo fa mi ha scritto così: “lavoro come parrucchiera, sono entusiasta del mio mestiere, perché mi permette di essere a contatto con le persone dando loro la mia creatività sulle loro acconciature, rendendole felici”. Non è lo Spirito che ha fatto capire a questa donna che il senso della sua vita è fare felici le persone anche con il suo semplice mestiere di parrucchiera? Infine la seconda lettura: lo Spirito presente nella creazione, nel suo anelito al compimento del disegno di Dio quando saremo perfettamente figli e la stessa creazione sarà redenta. Lo Spirito ci apre all’eternità, ci mette in attesa dello Sposo che viene. Come presbitero sei tenuto a ricordarlo alla Sposa, alla Chiesa, ma anche alle donne e agli uomini di oggi, credenti e non, che sempre più chiudono i loro orizzonti nel qui e ora. Mi ha impressionato quanto mi ha detto recentemente un nostro prete: sto incontrando sempre più persone, che pure vanno in chiesa, ma non credono che ci sia una vita oltre la morte. E invece c’è una vita eterna che già ora è iniziata, ci sarà un compimento, ci sarà una gloria, c’è uno Sposo che viene e che verrà anche per te, come per ciascuno, e sarà la vera festa: danzeremo allora tutti insieme, guidati dalla musica dello Spirito, cantando il nostro alleluia.
Carlo Roberto Maria Redaelli Arcivescovo