Una giornata di sole primavarile ha incorniciato l’esperienza della comitiva parrocchiale gradiscana, che sabato 8 marzo, in occasione della festa della donna, si è recata in gita a Gemona e a Venzone.
La prima tappa è stata fatta al Santuario di Gemona dedicato a Sant’Antonio, per suggellare ancora una volta quel vincolo che lega la comunità di Gradisca al Santo. Un legame sancito qualche anno fa con il dono di una piccola reliquia del Santo, fatto alla comunità dai padri conventuali della basilica di Padova, ai quali il parroco don Maurizio, nel corso della celebrazione della Messa, ha rivolto un particolare pensiero.
La funzione liturgica si è svolta proprio accanto alla statua terremotata di S. Antonio, intronizzata fra i ruderi di una preesistente Cappella, inglobata nell’attuale Chiesa costruita dopo il devastante terremoto del 1976.
Mentre la funzione è stata accompagnata da canti antoniani, l’omelia di don Maurizio è iniziata con un riferimento alla quaresima.
«L’odierna liturgia quaresimale» – ha detto il parroco – «ci pone davanti agli occhi la chiamata di Matteo che nel bellissimo dipinto del Caravaggio che si trova nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, definisce la chiamata-vocazione come un bagliore di luce nelle tenebre, un lampo abbagliante che squarcia il nero abisso, un’onda luminosa che fruga indiscreta nell’oscurità dell’anima d’ognuno di noi. La quaresima ci dice che ognuno di noi è chiamato, innanzitutto alla conversione», gesto vissuto mercoledì scorso con le significative parole che ci siamo sentiti dire nell’atto dell’imposizione delle ceneri, «convertiti e credi al Vangelo» .
Un ulteriore richiamo al tema della conversione è stato fatto dal parroco a conclusione dell’omelia con un riferimento tratto dai Sermoni di Sant’Antonio: «... Infine, quando all'inizio della conversione e della nuova vita scoppiano i tuoni, cioè le tentazioni della prosperità o delle avversità, queste riescono spesso a guastare le uova della speranza e dei santi propositi.»
La presenza di S. Antonio a Gemona risale al 1227, quando si fermò per alcuni mesi a predicare. Già prima di quell’anno a Gemona si trovavano i frati minori e S. Antonio fece edificare una cappella e nel 1248 fu consacrata la prima chiesa del mondo dedicata a S. Antonio. Nel corso dei secoli l’edificio religioso venne ampliato e ristrutturato, ma le scosse sismiche del 1976 lo distrussero. L’attuale santuario fu riedificato sulla stessa area dell’originaria chiesa con la ricostruzione del post-terremoto.
Dopo aver visitato anche la cella del santo che, secondo la tradizione sarebbe stata abitata da S. Antonio durante la sua permanenza a Gemona, la comitiva ha raggiunto la località di Venzone, dove ha potuto visitare il Museo «Tiere Motus. Storia di un terremoto e della sua gente», una mostra permanente ospitata al primo piano del cinquecentesco palazzo Orgnani-Martina, situato nel centro storico.
Accompagnati dai preziosi contributi delle guide, la comitiva, divisa in due gruppi, ha seguito il percorso espositivo, che vuole testimoniare e mantenere viva nella memoria collettiva la tragedia che il 6 maggio 1976, alle ore 21.06, colpì il Friuli, causando ingenti perdite in termini di vite umane e di danni al patrimonio storico e culturale, con una scossa di terremoto di magnitudo 6.4 sulla scala Richter.
Il percorso espositivo si sviluppa su diverse sale e ripercorre il dramma attraverso fotografie, documenti, volantini, video, che riguardano gli aspetti storici, culturali, tecnici e legislativi dell’evento sismico. Il sisma viene seguito sin dalla sua prima manifestazione di quel 6 maggio; seguono i primi soccorsi - resi difficoltosi anche per la imprecisione nel comunicare puntualmente dove si era scatenato il terremoto - e poi la tragedia con vittime e rovine ovunque. Emerge un quadro desolante di dolore e di paura, che solo il senso di solidarietà espresso da uomini delle istituzioni e volontari fu in grado - allora - di attutire.
L’esposizione ripercorre poi il tentativo di ricominciare la vita da parte delle popolazioni colpite, nonchè la ripresa dell’attività sismica. La potente energia scatenatasi a metà settembre, scosse ripetutamente la terra friulana, tanto che l’allora Arcivescovo di Udine mons. Alfredo Battisti, disse: «Il terremoto del 6 maggio ha demolito il Friuli; quello di settembre ha demolito i friulani. Il primo ha distrutto le case ma ha lasciato la speranza; il secondo sembra aver intaccato anche la speranza».
Il viaggio nella memoria, all’interno della mostra, continua con l’esodo dei friulani verso le località di mare, con i prefabbricati, con i puntellamenti, le demolizioni, gli sgomberi e il conseguente dibattito sulla ricostruzione e la sua pianificazione, fino alla vera e propria ricostruzione, che, trasformò il Friuli in un enorme cantiere dal quale sorse un nuovo Friuli: un Friuli orgoglioso di avercela fatta e additato poi a modello.
Il percorso espositivo contempla anche una sala in cui viene proposto un video particolarmente coinvolgente per lo spettatore che, attraverso animazioni in grafica 3D, assiste al crollo subito dal Duomo di Venzone nella notte del 6 maggio. La ricostruzione virtuale delle scene del crollo - molto rigorosa - è accompagnata da un sonoro che fa rivivere la spaventosa voce dell’Orcolat, la paurosa creatura che impersona il terremoto nella tradizione popolare.
Abbandonata la realtà virtuale, la comitiva gradiscana, si è recata quindi proprio al Duomo di Venzone, a due passi dal Museo. Qui l’edificio reale è comparso in tutta la sua bellezza e la guida, ha fatto apprezzare, oltre alle notizie storiche ed artistiche che lo caratterizzano, l’imponente ricostruzione anastilotica avvenuta dopo il terremoto.
All’uscita, l’immagine della guglia del campanile che si stagliava nel cielo stellato dominato da uno spicchio di luna, ha invitato ad una preghiera, affinchè drammi del genere non si ripetano e le conoscenze da allora acquisite, risparmino le vite umane di una terra consapevole che l’Orcolat si ridesta a distanza di anni.
Sulla strada del ritorno, dopo la sosta conviviale a Tolmezzo, la memoria correva al ricordo della presenza a Gradisca dell’Arcivescovo emerito di Udine mons. Battisti, nel 2006. Allora, in occasione delle celebrazioni settembrine dell’Addolorata, a conclusione dell’anno giubilare per i 500 anni di dedicazione del Tempio dei Servi di Maria, nell’omelia l’Arcivescovo fece riferimento all’appello sul valore della famiglia da lui rivolto ai friulani durante i drammatici eventi sismici del 1976.
Riproponiamo qui sotto un estratto dal filmato dell’ omelia integrale, che si trova nell’archivio-video del sito parrocchiale e che presenta alcune immagini di repertorio sui soccorsi portati alle popolazioni friulane colpite dal terremoto.
O.F.