Sabato sera, alla Messa vigiliare d'Avvento si é pregato per la Beatificazione di don Tonino Bello, nel giorno della chiusura della fase diocesana del processo di Beatificazione e Canonizzazione.
La sua immagine di Chiesa testimoniata, predicata, ma soprattutto vissuta "sine modo" é quella Chiesa del grembiule, quell'Ospedale da campo, immagine tanto cara a Papa Francesco che sicuramente avrà nell'amato Vescovo di Molfetta un intercessore per il suo sogno pastorale e per il suo ministero petrino.
Benedici noi, don Tonino!
di Luigi Sparapano
Un sentimento di grande gioia pervade tutti noi per questa tappa raggiunta: poco più di tre anni per raccogliere tutti i documenti e le testimonianze necessarie a confermare la santità di don Tonino Bello.
Molte cose sono state dette e scritte, a proposito e a sproposito: si voleva introdurre la causa? Non si voleva? Era necessario? Troppo tempo? Ne faremo un santino? Lo ingesseremo in una nicchia o su un piedistallo? E non sono mancati strattonamenti del suo pensiero e della sua testimonianza, qualche volta branditi contro questo o quello.
Non indugiamo su queste considerazioni; la data del 30 novembre 2013, dopo quella del 30 aprile 2010, saranno segnate a caratteri cubitali nella storia della nostra diocesi come in quella di Ugento-Santa Maria di Leuca, mentre da ormai 30 anni il segno di don Tonino vescovo è impresso indelebilmente nella vita e nei cuori di ciascuno di noi. Adesso, questo dono di fede che abbiamo ricevuto viene consegnato alla Chiesa universale e a lei ci affidiamo colmi di speranza per le fasi successive.
Penso di interpretare i sentimenti di gratitudine della comunità diocesana per questo traguardo raggiunto: gratitudine piena va al Vescovo don Gino Martella che ha voluto che ciò avvenisse nei tempi e nei modi adeguati; al Postulatore don Agostino Superbo, autorevole testimone dell’episcopato di don Tonino; in maniera particolare a don Mimmo Amato, vicepostulatore, per l’enorme lavoro di coordinamento e di produzione meticolosa della documentazione necessaria. Gratitudine che si estende alla Commissione storico teologica, e soprattutto ai membri del Tribunale, per l’attento ascolto dei testimoni; a questi ultimi, protagonisti decisivi, il grazie per aver condiviso conoscenze e memorie personali importanti perchè rifulga la luce di santità di don Tonino.
Il grazie più forte però va proprio a lui, per averci permesso di guardare in faccia il volto di una Chiesa bella, autentica, vicina, familiare, soprattutto credibile, come Papa Francesco dimostra.
Che egli sia patrimonio e riferimento per la Chiesa italiana, e non solo, ne siamo già convinti per l’enorme quantità di libri e tesi pubblicati, per le conferenze, convegni, intitolazioni, citazioni che si moltiplicano in tutta Italia; soprattutto per il crescente numero di gruppi che percorrono il tratto Molfetta-Alessano, attratti e conquistati dalla sua feconda presenza.
A ciascuno di noi il compito di prolungarne la scia, di dare ogni giorno seguito, per quanto possibile, alle sue profetiche intuizioni, di imitare il suo anelito di santità cercando di vivere la nostra personale santità.
Da Avvenire
PROCESSO DI BEATIFICAZIONE
Don Tonino Bello, pastore «sul passo degli ultimi»
Si arriva a Molfetta e l’ospedale si chiama «Don Tonino Bello». Nelle scuole i ragazzi sono alle prese con il concorso diocesano «Conosci don Tonino?». L’Istituto professionale è stato ribattezzato una decina d’anni fa e adesso porta il nome del «fratello vescovo povero».
Ancora. Quando si entra con l’auto nel centro – qualsiasi ingresso si scelga – ecco comparire i cartelli «città della pace»: è «il nostro ringraziamento a monsignor Bello e al suo straordinario impegno a favore della riconciliazione». spiega il vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, Luigi Martella. Poco fuori Ruvo la comunità Casa «Don Tonino Bello» è dal 1984 una rifugio per chi vuole uscire dal tunnel della tossicodipendenza ma anche un richiamo alla conversione perché, sosteneva il suo fondatore, «un po’ tutti siamo alle dipendenze di qualcosa: dei soldi, dei vizi, dell’egoismo, dei mille vitelli d’oro che ci siamo costruiti nel deserto della vita».
Muoversi per la diocesi che per undici anni è stata guidata da monsignor Bello significa immaginarlo ancora come un familiare che accompagna la vita della comunità. E toccarne con mano le intuizioni, la profezia, l’eredità quasi ovunque. «Qualcuno dice: "Don Tonino ci manca" – confida Martella –. In realtà è qui in mezzo a noi. E la sua missione prosegue. In fondo aveva ragione l’arcivescovo di Bari-Bitonto, Mariano Magrassi, che nell’omelia delle esequie sostenne che il tramonto sarebbe stato più luminoso dell’alba. Ecco, a venti anni dalla sua morte, continua ad aiutare tanti a varcare la soglia della speranza».
Oggi la «sua» Chiesa è in festa per la conclusione della fase diocesana della causa di beatificazione. «La diocesi – riferisce il vescovo – ha vissuto l’iter come un momento di comunione. Che non è stato soltanto un’istruttoria canonica ma soprattutto un’occasione di crescita interiore. Di sicuro siamo consapevoli che l’eredità di monsignor Bello non può essere ridotta a un’icona votiva ma va declinata nel quotidiano».
A Molfetta si fa tappa per visitare i luoghi di don Tonino ma anche per dialogare con chi è cresciuto accanto a lui. «C’è ancora l’eco della sua voce, dei suoi gesti, dei suoi messaggi – sottolinea Martella –. Gli adulti di oggi sono i giovani che lo hanno visto al loro fianco. Ma anche le nuove generazioni lo sentono vicino: il concorso sulla sua figura che abbiamo promosso per gli studenti ha dato risultati sorprendenti». Certo, la fama di santità di monsignor Bello va ben oltre questa terra di mare. «Da tutta la Penisola si giunge fra noi sui passi di don Tonino – spiega il vescovo –. Molti lo hanno conosciuto e ammirato attraverso i suoi scritti senza averlo mai incontrato di persona. Lo testimoniano anche i miei viaggi come visitatore dei Seminari d’Italia nei quali non manca mai la domanda: a che punto è la causa di beatificazione di monsignor Bello? Segno dello stupore che suscita ancora il suo lascito».
Già, il Seminario. Don Tonino era stato formatore dei futuri sacerdoti nella sua diocesi, Ugento-Santa Maria di Leuca. E aveva portato la sua passione educativa nella comunità di Tricase, quando era parroco, e a Molfetta da pastore. «Lungo la rotta tracciata dal Concilio aveva valorizzato il laicato e lo aveva emancipato», chiarisce il vescovo. E monsignor Bello è stato anche l’uomo della parola.
«Una parola nuova non solo nei contenuti – sottolinea il presule – ma anche per la forza incisiva, per la freschezza, per l’efficacia e per la fecondità».
A Tricase Martella, allora giovane prete, pranzava tutti i sabati con don Tonino. «Perché sono originario di quel Comune – racconta –. A lui mi sono riferito e, direi, ispirato da novello sacerdote. Ogni volta che lo incontravo ero consapevole di avere davanti a me un maestro».
Il 25 dicembre 1984, a due anni dalla sua nomina a vescovo, monsignor Bello aveva lanciato il progetto pastorale «Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi».
«Un piano di grande attualità ancora oggi – dichiara Martella –Quella degli ultimi, per don Tonino, non era una scelta pauperistica ma una via concreta non solo per imitare Gesù, ma anche per incontrarlo e servirlo. E in questo tempo di crisi gli ultimi sono davvero tanti, troppi: da chi ha perso il lavoro alle famiglie piegate dal bisogno, da coloro che vengono esclusi ai migranti che bussano alle nostre frontiere».
E monsignor Bello aveva fatto di Molfetta un avamposto dell’accoglienza, a cominciare dal palazzo vescovile aperto a tutti. «Per don Tonino – conclude il vescovo – una Chiesa che spalanca le sue braccia non è tanto quella che offre un pasto o un tetto, quanto quella che sa camminare a fianco. Questa è la direzione che ci indica anche papa Francesco e che don Tonino ha vissuto e mostrato».