« È una vergogna».
È un grido di dolore quello di Papa Francesco di fronte alla tragedia del mare che è accaduta oggi a Lampedusa. E poi su Twitter ha scritto: «Preghiamo Dio per le vittime del tragico naufragio a largo di Lampedusa».
La Comunità parrocchiale esprime il proprio cordoglio per il nuovo dramma consumatosi oggi nel mare di Lampedusa. Ma ancor di più si unisce alla preghiera di Papa Francesco e prova quella “vergogna” di cui ha parlato il pontefice per quel barcone naufragato che ha provocato - secondo le ultime notizie - oltre 90 morti e 250 dispersi.
«Preghiamo insieme Dio - ha detto il Papa - per chi ha perso la vita: uomini donne bambini, per i famigliari e per tutti i profughi. Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie. Solo una decisa collaborazione di tutti può aiutare a prevenirle».
Solo ascoltando queste parole sagge e mettendo in pratica i suoi suggerimenti si potranno evitare tragedie simili. La tragedia di persone che “fuggono da contesti di guerra, rispetto ai quali abbiamo dei doveri internazionali di accoglienza. Se pensiamo a situazioni come quella del conflitto siriano, con milioni di rifugiati che cercano di salvare le proprie famiglie, anche fuggendo dai campi profughi, una domanda viene spontanea: «Perche l'Italia, come hanno già fatto altri paesi, ad esempio la Germania, non apre dei corridoi umanitari per far arrivare in sicurezza queste persone, con le loro famiglie, invece di costringerli nei fatti a mettersi in mano dei trafficanti di uomini e a rischiare la propria vita in mare?».(don Francesco Soddu, Direttore di Caritas Italiana)
Risale solo all’altro ieri una lunga telefonata tra il parroco di Gradisca e don Stefano Nastasi, parroco ancora per pochi giorni di Lampedusa, uno dei semplici contatti che da oltre un anno legano simbolicamente due comunità lontane ambedue ospitanti il CIE, ma verso le quali la storia drammatica del nostro tempo alza il suo grido d’aiuto da parte dei poveri affinché, come ha detto ancora Papa Francesco, La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, a renderci insensibili alle grida degli altri, La cultura del benessere ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro. Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”.