Sono rimasto stupito e meravigliato quando, al telefono, l’amico Renato Brucoli mi ha chiesto di elaborare la presentazione del nuovo libro contenente scritti di don Tonino Bello. Da una parte perché non mi sentivo all’altezza, dall’altra perché non me ne sentivo degno.
Ma essendomi giunta la richiesta il giovedì santo, e a pochi giorni dal dies natalis di don Tonino, in cui sono solito commemorarlo sul settimanale della diocesi di Gorizia, e per giunta alle soglie dell’anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI sul tema “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote” in occasione dei 150 anni dalla morte del santo Curato d’Ars, che proclamerà patrono di tutti i sacerdoti del mondo, ho ceduto e accolto l’invito.
Aprendo il “file” e dando una scorsa all’indice, mi sono venuti subito i brividi: quelle che dovrebbero essere le caratteristiche umane, ministeriali e profetiche del sacerdote e che, di fatto, dopo tutta una vita puoi solo dire di aver sfiorato, talvolta gustato – ma per grazia di Dio –, me le sono viste come passare davanti agli occhi, incarnate nella voce, negli scritti, nello sguardo amabile, nell’esistenza, fatta di passione e di rifiuto, che ha contraddistinto don Tonino Bello.
Dentro di me ho sentito ancora una volta che lui è stato un dono di Dio per l’umanità e per la Chiesa in particolare, anzi che un dono lo è ancora, perché il titolo dell’opera, Un testimone giunto dall’avvenire, dice della sua presenza in mezzo a noi: lui, vivente in Dio, ci sta davanti e non indietro; lui continua a parlarci… da servo di Dio qual è stato appellato in virtù di tutta la sua esistenza e non solo secondo il titolo reso all’avvio del processo di beatificazione.
Don Tonino l’ho conosciuto tanti anni fa, in modo fortuito ma – con il senno di poi – devo dire segnato dalla Provvidenza. L’incontro è stato estremamente semplice: su di un prato, a fianco di una chiesa, vivendo il sacramento della penitenza. Non sapevo fosse vescovo, l’ho conosciuto come prete, come confessore, in un abbraccio di misericordia, nello stupore del sentirmi accolto dal suo sorriso, dalla trasparenza del suo sguardo, da parole cariche d’amore e di comprensione. Congedandomi, quel fraterno «…ma ci rivedremo?» e un’ultima frase, non imperativa ma esortativa: «Ama la gente, i poveri soprattutto… e Gesù Cristo. Il resto non conta nulla».
Il “don” che ha voluto mantenere a tutti i costi, più di qualsiasi altro titolo che la carica episcopale comporta e che la diplomazia sociale “impone”, sta a indicare non una falsa umiltà o la nostalgia di una vita più semplice, a contatto con il popolo – quella, per intenderci, di parroco a Tricase –, ma l’attaccamento, direi quasi viscerale, al sacerdozio, alla chiamata a cui aveva risposto fin da piccolo, mettendo il Signore prima di tutto e di tutti, ribadito nel giorno dell’ordinazione con il ripetuto “sì”.
Di don Tonino si è scritto tanto, si è detto molto, eppure la sua parola, la sua testimonianza e la sua presenza sono come la fontana del villaggio che continua a offrire acqua sempre fresca, a essere punto d’incontro e di relazioni nuove, spazio visibile di comunioni profonde. C’è una semplicità che attrae, e la radice sta senz’altro nel suo carattere, ma purificata e resa vera ed espressiva dall’aver sposato nella sostanza la spiritualità di Francesco d’Assisi. Lui, profondo conoscitore della sacra Scrittura, dell’esegesi e dell’ermeneutica biblica, amava misurarsi nella sua vita personale e di fede con l’impegnativa regola del santo di Assisi: «sola Scriptura», senza tagli, censure o riduzioni di sorta. In lui coglievi l’utopia della speranza, vista non come qualcosa d’irraggiungibile, una specie di miraggio lontano, ma nel senso della visione e della profezia, capaci di suscitare risorse inaspettate nel cuore dell’uomo.
Insomma, incontrandolo, incontravi quella “buona notizia” che ha provocato «dentro di lui uno spasimo tale da diventargli impossibile il tenerla prigioniera: “Gli scoppia in petto, e trabocca nella colata lavica delle parole…» (Renato Brucoli).
Ne rimanevi contagiato. La sua persona ti trasmetteva, al di là della simpatia che nasceva spontanea, quel fascino di Cristo e per Cristo che ti segnava e t’interrogava.
Sono certo che, sfogliando quest’ultima bella e preziosa fatica, e lasciandoci condurre dalle parole gravide di testimonianza – parole, cioè, che si sono fatte carne e sangue nell’esistenza santa di don Tonino Bello – tutti potremo trovare giovamento spirituale, in particolare i sacerdoti che oggi sono chiamati a grandi sfide affinché non si oscuri la presenza di Dio in questo mondo che lo cerca.
Gli scritti loro indirizzati sono disposti in cinque sezioni: tratteggiano l’identità del sacerdote nel mondo contemporaneo (Essere sacerdote oggi), propongono indicazioni di ruolo pastorale (Profili), offrono incoraggiamenti biblicamente fondati per rinnovarne l’impegno (Esortazioni), suggeriscono criteri interrogativi per l’esame di coscienza (Spine nel fianco), aprono alla contemplazione (Preghiere).
Pagine quanto mai preziose, dunque, che rinviano ad altre pagine: la leggi quasi in ogni riga la necessità imprescindibile, per il presbitero, di andare a Dio, alla sua Parola, al rapporto intimo con Cristo Signore nella preghiera, per non correre il rischio del «fai da te»; per non cedere alla lusinga «della tua presunta onnipotenza».
Anche per questo richiamo, sempre salutare, ti diciamo ancora grazie, don Tonino!
Don Maurizio Qualizza
sacerdote e parroco in Gradisca d’Isonzo